17 Marzo, giorno dell’Unità d’Italia. Una data che appena cinque anni vide commemorazioni e celebrazioni d’alto profilo svolgersi in tutte le città d’Italia per i 150 anni dell’unità nazionale. Oggi, invece, tutti sembrano esserne dimenticati. La gran parte degli italiani non sa che proprio il 17 marzo ricorre la ricorrenza dell’unità del paese. Al riguardo, i giovani tra i 18 e i 24 anni sono leggermente più informati degli altri: potere di Internet? Forse.
L’Unità d’Italia, insomma, divide in due il Paese. Non in modo cruento, ma lo divide: le giovani generazioni se ne sentono distanti e poco motivate. Nel 2011, le celebrazioni del 150°, fu considerata come un’occasione per migliorare i rapporti Nord-Sud, per offrire all’estero un’immagine che cancelli i soliti stereotipi sull’Italia e gli italiani, per migliorare l’integrazione degli immigrati, per favorire gli scambi generazionali, per conoscere meglio la Costituzione, per aprirsi all’Europa. Celebrazioni all’epoca svolte con tanto di frattura all’interno dell’esecutivo retto da Silvio Berlusconi: fino a qualche settimana prima non erano infatti previste celebrazioni ufficiali, salvo poi un impeto di risentimento nazionale avvertito dagli allora ministri Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, che in tempo record provvidero a stilare un calendario di cerimonie degne del 150° dell’unità del paese.
Ma oggi invece cosa resta? Il nulla. Neanche il Capo dell’esecutivo, Matteo Renzi, divenuto famoso per la sua presenza assidua sui social netwoork, si è degnato di commemorare l’importante evento. Ne il Partito Democratico, che bene o male resta il partito di maggioranza relativa in parlamento, ne le altre forze politiche si sono degnate di rilasciare quantomeno un flebile ricordo che evochi quantomeno un sussulto di orgoglio per l’essere italiani.
Solo la Presidenza della Repubblica si è degnata di rilasciare una nota e di far svolgere il cambio della Guardia in modo solenne del Reggimento Corazzieri e della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo sul piazzale del Quirinale in occasione dell’importante ricorrenza. Una goccia nel mare, rimasta sorda, senza seguito. Il solo Presidente Mattarella, che ancora una volta si è distinto per l’alto senso di responsabilità istituzionale, ha voluto onorare, nel limite del possibile e nello stile sobrio che da sempre l’accompagna, l’importante ricorrenza.
Per il resto nulla, il silenzio assordante e una realtà oramai indiscutibile: “L’Italia è stata fatta, ora bisogna fare gli italiani” come si può leggere dalle pagine finali de “I Vicerè”, capolavoro di De Roberto, che a distanza di quasi un secolo narra di una realtà incredibilmente mai mutata. Con la contrapposizione Nord e Sud mai sopita, e un paese ancora alle prese con il riconoscimento della propria identità, del resto basta vedere i dibattiti parlamentari tra cui l’ultimo sulla politica estera per rendersi conto della realtà dei fatti. Un vero e proprio deprofundis, un clamoroso autogol dello stesso premier Renzi che proprio nell’Unità nazionale aveva un’altro tema importantissimo su cui poter modellare l’agenda del governo. E invece cosa resta? Delle belle parole del 2011 in pratica nulla se non l’urlo di vendetta dei tanti che nell’Italia avevano creduto.
Eppure per la realizzazione di quel sogno “Risorgimentale”, in tanti versarono il proprio sangue sull’altare della Patria. Un’Unità che, anche se raggiunta con molte contraddizioni, deve essere onorata al meglio proprio in virtù di quei tanti sacrifici fatti col sangue dei soldati dei vari schieramenti in campo. Dal 1861 al 2016 nulla è cambiato, anzi si: prima dell’Unità si credeva e sognava in una nazione chiamata “Italia” in cui vi erano poste le speranze dei tanti che serbavano quel desiderio di identità nazionale tramandata nei secoli , passando per Dante e Cesare Borgia fino ad arrivare a Mazzini e Garibaldi, pur di esser nazione ed essere finalmente liberi dagli stranieri.