Esclusivo: ecco le prime dichiarazioni del pentito Alfonso Loreto

Scafati. “La tangente consegnata da Aurelio Voccia De Felice per la gestione dei parcheggi non era di 30mila euro. L’ingegnere mente”: Alfonsino Loreto, smentisce l’ingegnere che gli consegnò il danaro per conto dell’Aipa che gestiva la sosta a pagamento in città. Lo fa come lo aveva fatto suo padre quando l’ingegnere sosteneva di non aver pagato nessuna tangente. C’è questo e altro nelle circa 450 pagine di verbali depositati dalla Dda nel processo per associazione per delinquere e omicidi che vede tra i protagonisti gli uomini del clan Loreto-Ridosso. Alfonso Loreto, figlio di Pasquale, decisosi a passare dalla parte dello Stato a febbraio scorso, questa volta non può essere smentito è stato lui a incassare quella tangente dalle mani di Aurelio Voccia De Felice, figlio dell’ex sindaco Dc, Francesco, e per anni uomo di fiducia di Angelo Pasqualino Aliberti, sindaco di Scafati. Trentamila euro? No, molti più soldi furono consegnati dall’ingegnere a lui e Luigi Ridosso tra il 2009 e il 2010 per l’affare parcheggi a Scafati. E Voccia che per salvarsi da un’accusa di favoreggiamento, confessò in extremis, di aver consegnato 30mila euro, in una busta, al rampollo di Pasquale Loreto, viene ancora una volta smentito. Qualcuno ha fatto la cresta sulla tangente. E’ uno dei tanti particolari raccontati dal giovane pentito che ha innescato una bomba ad orologeria nel Comune di Scafati. Alfonsino racconta tutto quello che sa. Estorsioni, omicidi, agganci politici, percentuali sui lavori pubblici e privati e dinanzi ai carabinieri della Dia e del Reparto Territoriale finiscono in tanti, testimoni, vittime, ma anche complici. Alfonso Loreto ha acceso una miccia pronta a far esplodere l’ordigno di collusioni, complicità e responsabilità. In due verbali quelli del 23 e del 28 febbraio scorso vuota il sacco, nel terzo reso qualche giorno più tardi precisa episodi e date. Un fiume in piena, definisce i contorni di accuse già contestate ai giovani del clan Ridosso-Loreto dalla Dda che, a settembre scorso, ha fatto scattare gli arresti. Ma aggiunge particolari che hanno permesso di smascherare menzogne e complicità. Alfonso Loreto non risparmia nessuno e la Procura tiene ancora ‘segrete’ le rivelazioni sulle quali sono in corso riscontri e indagini. Centinaia di ‘omissis’, di episodi che – si intuisce dalle circa 450 pagine già depositate – provocheranno un vero e proprio terremoto, nel mondo dell’imprenditoria e della politica. Alfonsino Loreto parla degli omicidi, appresi successivamente al suo ingresso nel gruppo criminale gestito da Romoletto Ridosso e da figli e nipoti. Conferma le rivalse dei Ridosso contro i Muollo, per la morte di Salvatore ‘piscitiello’ e specifica i ruoli e le responsabilità. Un contributo importante per la guerra di camorra in atto a Scafati nei primi anni 2000, che però non è tra le priorità dell’Antimafia e dei pm Giancarlo Russo e Maurizio Cardea. Alfonso Loreto è molto ‘ferrato’ sull’attualità e elenca i nomi di giovani e vecchi criminali che hanno partecipato al clan di cui faceva parte fino a qualche mese fa. Ma spiega anche in che modo la criminalità si è inserita nel tessuto economico e politico della città, quali sono gli imprenditori che pagavano fior di tangenti, da poche migliaia di euro a decine di migliaia. Molti sono stati già interrogati. Il confronto con le forze dell’ordine è stato durissimo. Qualcuno ha negato, altri hanno ammesso di essere stati costretti a pagare per paura che Romoletto e i suoi facessero delle ritorsioni. 
Alfonsino non risparmia, davvero nessuno, e dai complici alle vittime elenca decine di persone. Molti conservieri costretti a pagare in forma di prestazione di lavoro per le pulizie nelle proprie aziende. Rapporti economici apparentemente leciti, se non fosse per quei nomi che stavano dietro la cooperativa di servizi dei Ridosso-Loreto con sede legale a Napoli, ma sede operativa a Scafati.


Articolo precedenteTerra fuochi: inaugurato polo ambientale “Pio La Torre”
Articolo successivoLa Cassazione assolve il boss “fantasma” Marco Di Lauro da un altro ergastolo, ma la caccia continua