ESCLUSIVA. Castellammare, il killer pentito Cavaliere: “Il boss Michele mi propose di proteggere la sua famiglia e mi regalò soldi e un borsone di armi”

L’affiliazione al clan D’Alessandro di Castellammare da parte del killer pentito Renato Cavaliere risale alla fine degli anni Ottanta. Il collaboratore di giustizia lo ha spiegato al pm della Dda di Napoli, Claudio Siragusa, in un lunghissimo e dettagliato racconto. Eccolo: “Quando avevo 19 o 20 anni ho conosciuto Luigi D’Alessandro, figlio di Michele, e ho stretto amicizia con lui nel senso che ci frequentavamo ogni giorno. Luigi mi faceva un sacco di regali e io gli ero grato. Sapevo chi erano i D’Alessandro e sapevo che Michele , padre di Luigi era il capo della camorra di Castellammare e dintorni. Poi ho conosciuto anche il fratello Pasquale con il quale avevo fatto delle gare sulle moto senza sapere chi era. Il nostro era solo un rapporto di amicizia e non di malavita. Frequentavo la loro casa e spesso mangiavo con loro. Io volevo molto bene a Luigi e in realtà gliene voglio ancora nonostante la mia scelta di collaborare con la giustizia. della nostra compagnia facevano parte anche Nunzio Mascolo, Lino Martone e Giovanni D’Alessandro ma a stare sempre insieme eravamo soprattutto io, Luigi e Nunzio Mascolo. Ho conosciuto anche Giuseppe Verdoliva in quel periodo che mi chiese se io ero il compariello di Gragnano di Luigino. Io e Nunzio Mascolo eravamo i suoi comparielli e lui diceva che ci doveva cresimare….Quando avevo 21 o 22 anni è stato scarcerato Michele D’Alessandro e quel giorno Luigi mi disse di dare un occhio al padre (che prima di essere arrestato aveva subito un agguato). Io avevo una pistola calibro 38, l’ho presa e mi sono messo a controllare la zona. ho visto arrivare un’Alfa 164 blindata di colore grigio metallizzato con alla guida Giuseppe Verdoliva e dietro seduti Michele D’Alessandro e un’altra persona. Cera un sacco di gente del quartiere che voleva festeggiare il ritorno a Scanzano di Michele D’Alessandro e voleva salutarlo. Lui nel quartiere era considerato una vero e proprio santo e le persone si rivolgevano a lui anche per risolvere i problemi di natura familiare. Luigi mi disse che dovevano far finire quel casino di gente e che dopo il padre ci voleva parlare. La sera stessa andammo e lui ci presentò come i suoi comparielli. Ad un certo punto Michele D’Alessandro mandò via Luigi e rimase solo con me e Nunzio Mascolo. Ci chiese se era tutto a posto e  se avevamo i soldi e nonostante avessimo risposto di si dci diede due o tre milioni ciascuno. E quindi ci spiegò che essendo amici del figlio era come se fossimo figli suoi. Ci disse che sapeva che eravamo ragazzi di strada e che eravamo svegli e ci propose di stare accanto ai figli e di occuparci della protezione della famiglia. Ci spiegò che se avessimo accettato la sua proposta saremmo entrati nella famiglia e saremmo stati al pari di Sergio Mosca e Antonio Elefante “mozzarella”. Noi accettammo e allora lui ci disse che da quel momento eravamo figli suoi e non semplici affiliati. In questo modo ho iniziato a far parte del clan. Michele D’Alessandro festeggiò l’ingresso mio e di Nunzio Mascolo con dello champagne e ci diede dei soldi. Poi ci disse che avrebbe chiamato Peppe (riferendosi a Giuseppe Verdoliva l’autista) e che ci avrebbe dato un suo regalo ma ci disse anche di non dire niente ai suoi figli…incontrammo Luigi D’Alessandro al quale ci limitammo a dire che il padre ci aveva ringraziato perché eravamo suoi amici… il giorno dopo mentre io e Nunzio Mascolo eravamo vicino alla chiesa di Scanzano ci chiamò Giuseppe Verdoliva e ci portò in un giardino di via Pergola. All’epoca nel giardino c’era una casa diroccata e ci disse che siccome facevamo parte della famiglia ci doveva dare un regalo da parte del compare riferendosi a Michele D’Alessandro. Ci consegnò due borsoni da palestra di grosse dimensioni all’interno delle quali vi erano numerose armi e munizioni. C’erano due pistole calibro 9×21 e disse che noi sparavamo solo con quel tipo di pistole, c’erano anche due kalashnikov, tre bombe a mano, un mini Uzi di fabbricazione israeliana, due pistole calibro 357, una a canna  lunga e una corta, due calibro 38 una a canna lunga e una cosiddetta cavallino. Verdoliva consegnò un borsone a me  e uno a Nunzio Mascolo e ci raccomandò di non camminare con le pistole addosso e di non metterle tutte da una parte”. Era la fine degli Ottanta e da quel momento Renato Cavaliere è diventato uno dei killer più spietati del clan D’Alessandro.


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