E’ stata una vera e propria esecuzione “tribale” quella di cui è rimasto vittima il 9 aprile scorso a Secondigliano Fabio Giannone, il ragazzo di 21 anni trovato morto in strada. Non fu un incidente stradale, un tamponamento involontario, come si era pensato in un primo momento ne un tentativo di punizione finito male. Ma un massacro violento. Nella mani della pm Maria Sepe è arrivato un filmato, di una telecamera che si trova nei pressi della scena del delitto, dal quale si evince chiaramente cosa è accaduto: un’auto, una Citroen Ctre risultata rubata, arriva a tutta velocità dietro lo scooter dove è in sella Fabio Giannone. Lo sperona, l’urto è violento, Fabio cade, l’auto lo investe prima in avanti e poi in retromarcia con una violenza e una velocità impressionante. Proprio per essere sicuri che quella inaudita missione di morte vada a buon fine. ma non è tutto. Perché sempre dalle immagini si evince che dall’auto scende qualcuno che sembra camminare in modo incerto, claudicante, come se avesse subìto un incidente o un’operazione chirurgica. Un dato significativo che potrebbe portare all’individuazione dei responsabili. Perché tanta violenza nei confronti di una ragazzo incensurato che anche se aveva alle spalle una famiglia di persone legate alla camorra (il padre ucciso negli anni Novanta nella prima faida di camorra a Secondigliano, lo zio Claudio, gestiva invece una piazza di spaccio alle Case Celesti ed è in carcere per scontare una condanna a 4 anni e 8 mesi di carcere) aveva deciso di andare all’estero a cercare lavoro. Sarebbe stato ucciso solo perché parente di un gruppo di persone che si sarebbero vendicate dopo aver subìto il raid incendiario di una attività commerciale di un parente di un boss dei Di Lauro. Un ragazzo sarebbe stato pestato perché ritenuto a sua volta responsabile dell’incendio appiccato alle serrande del negozio di abbigliamento la notte del Capodanno del 2015. Dalle ipotesi investigative sarebbe emerso che Giannone era presente sul posto del pestaggio anche se non vi avrebbe preso parte. Di qui il desiderio di vendetta violenta, anzi violentissima, probabilmente nei confronti del più debole.
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