Scafati: l’antimafia ricostruisce come i soldi pubblici finivano agli amici imprenditori e camorristi

Scafati. Imprenditoria locale, camorra e politica: al centro un vorticoso giro di danaro pubblico, uscito dalle casse del Comune e destinato a imprese amiche di politici, amministratori pubblici e camorristi. E’ questo il nocciolo dell’indagine che, giovedì mattina, ha portato alla notifica di altri sette avvisi di garanzia nell’ambito dell’inchiesta per scambio di voto politico mafioso, associazione per delinquere, corruzione e concussione che vede indagate a vario titolo, ufficialmente, 11 ‘eccellenti’.

Potrebbero essere state fondamentali le acquisizioni di documenti fatte giovedì mattina dalla Dia di Salerno, per accertare il patto tra politica e camorra. Nelle sette perquisizioni effettuate dagli uomini della direzione investigativa e dai carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore vi sarebbero i riscontri alle dichiarazioni di Alfonso Loreto sul metodo Scafati. Un tassello importante che andrà a rimpinguare le informative della Polizia giudiziaria, già depositate nell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore della Dda, Vincenzo Montemurro. Gli inquirenti avevano una lista di nomi da verificare, nomi di ditte – in particolare – operanti nel settore dei servizi e del terziario. Il pool di investigatori si è mosso su due filoni, in particolare, che convergono nella medesima inchiesta: quello dell’appoggio del clan Loreto-Ridosso a Pasquale Aliberti al Comune e Monica Paolino alla Regione e quello dell’infiltrazione della camorra negli appalti pubblici, con la concussione di amministratori pubblici. Gli investigatori, coordinati dal capitano Fausto Ianncaccone della Dia di Salerno e dal maggiore Enrico Calandro del Reparto Territoriale, hanno verificato una lista di imprese che Alfonso Loreto, pentito dell’ultima ora, ha elencato nei suoi numerosi verbali come riconducibili a lui e ai Ridosso, suoi amici e complici. Società di servizi, in particolare, settore nel quale il clan Loreto-Ridosso si era ormai specializzato. Alcune di esse hanno ottenuto appalti per conto del Comune di Scafati, come la Maxiclean che in Ati con la Splendor, che si occupava della pulizia degli immobili comunali. La ditta, ora inattiva, era amministrata da Massimo Lo Russo, ed era passata poi alla guida di un altro prestanome, Pasquale Izzo, un parvenu che risulta amministratore di diverse società, alcune insospettabili. Tra i documenti contabili sequestrati a casa del fratello del sindaco, Nello Aliberti, anche alcune fatture emesse dalla 626 Service che opera nel settore della sicurezza sul lavoro, intestate ad alcune imprese che figurano più volte nelle informative della Commissione di accesso, insediatasi al Comune di Scafati, e nelle relazioni della Dia. Tra queste proprio la Maxiclean, ma anche quelle alla Coop. Sadriana che opera sempre nel campo delle pulizie e che ha partecipato all’ultimo bando di gara per gli immobili comunali, vinta poi dalla Splendor.

Interessante, per riscontrare le dichiarazioni di Loreto jr anche il timbro della Italia Service, l’impresa di pulizie gestita di fatto da Roberto Cenatiempo, indicato da Alfonso Loreto come il suo factotum nelle ditte solo apparentemente lecite. Interessante, per gli inquirenti, anche il materiale contabile sequestrato a casa dell’ex consigliere provinciale e comunale, Raffaele Lupo, indagato anch’egli nell’indagine della Dda. Lupo, promotore della lista civica ‘Grande Scafati’, sostenuta dai Loreto-Ridosso, secondo l’antimafia, nella quale è stato eletto Roberto Barchiesi, l’altro consigliere indagato, è un commerciante ortofrutticolo. Gli inquirenti hanno sequestrato presso la sua abitazione documentazione contabile relativa a industrie conserviere a cui Lupo fornisce prodotti ortofrutticoli e in particolare pomodori. Industrie scafatesi e non, anch’esse elencate da Loreto jr nei suoi lunghissimi e dettagliati verbali. Nomi ricorrenti, ma anche nomi eccellenti, nell’indagine che si dipana tra imprenditoria locale, camorra e politica. Il sistema Scafati potrebbe essersi fondato su un giro di danaro, spesso mascherato attraverso transazioni lecite, che avrebbe favorito il clan e imprenditori e professionisti spregiudicati, passando attraverso il placet di amministratori pubblici e politici ‘infedeli’. Il sospetto è che dagli appalti pubblici o dalle casse del Comune siano uscite tangenti e benefici per camorristi e amministratori pubblici. Un sospetto che l’antimafia cerca di provare con le indagini in corso. (r.f.)


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