C’è di tutto nell’inchiesta della Guardia di Finanza di napoli che ha scoperchiato il pentolone delle connivenze e dei nuovi business del clan Polverino. Ci solo le amicizie che contano,il prof universitario amico di magistrati per dare credibilità all’impresa e una veste di legalità e trasparenza al progetto dei 122 box nel cuore del Vomero, il commercialista dei vip per le operazioni finanziarie ad hoc, la prassi del mutuo come tecnica collaudata per rimpinguare le casse delle società mascherando i flussi di capitali provenienti dalle attività illecite direttamente o indirettamente riconducibili a uno dei clan più ricchi e potenti in città , i Polverino-Nuvoletta. E poi le complicità con professionisti di esperienza, “per niente sprovveduti” come sottolinea il gip, per consentire all’organizzazione camorristica di diventare imprenditrice di se stessa e infiltrarsi con radici profonde nei settori più produttivi dell’economia locale. L’ultima inchiesta della Dda sul reimpiego dei soldi della camorra alza un velo di connivenze, interessi, affari e due mondi che si intrecciano: quello della camorra, attraverso i suoi manager, e quello dell’imprenditoria, attraverso i volti di insospettabili. Amicizie istituzionali e notizie riservate. È lo spunto investigativo che arriva a margine dell’inchiesta sul riciclaggio e che apre un filone parallelo dell’indagine che mira a chiarire se e come siano circolate informazioni top secret.
Come riporta Il Mattino il 5 marzo 2015 i magistrati interrogano Giovanni De Vita per approfondire alcuni di questi aspetti.Gli fanno ascoltare le conversazioni intercettate nel suo studio di commercialista, incluso un dialogo con il penalista Guida. «Non ricordavo il colloquio che mi ha fatto ascoltare, non ho sentito parlare nel dettaglio della holding lussemburghese… Quando ho risposto a Guida questo l’ho saputo anche io perché loro hanno questa holding… non l’ho fatto perché in possesso di notizie riservate ma perché volevo lasciar parlare Guida» risponde De Vita. «Non ho mai conosciuto in vita mia generali della guardia di finanza, sia il suddetto Mango – dice, rispondendo a precise domande – ma anche il generale Bardi che lei mi dice chiamarsi Vito (che non risulta coinvolto nell’inchiesta, ndr)». E ancora: «Con il magistrato Ceglie (Donato, che non risulta coinvolto nell’inchiesta, ndr) non ho mai parlato delle vicende penali che mi riguardavano in prima persona né tantomeno di particolari mezzi di indagine. L’ho incontrato una sola volta, in quanto amico di lunga data di Lello Iovine». Il volto pulito Lo dicono chiaramente alcuni degli indagati, nelle conversazioni intercettate a febbraio 2014 grazie alla cimice che i finanzieri hanno piazzato nello studio De Vita. Serve un volto pulito alla società Immobiliare Belvedere, quella che deve occuparsi della realizzazione dei 122 box nel centro sportivo in via Aniello Falcone. È un affare milionario, si stima che da esso si possano ricavare più di dieci milioni di euro, ma la società è stata più volte accostata alla camorra e serve allontanare l’ombra che la presenza di Simeoli ha allungato dopo le indagini che hanno sollevato più di un sospetto sui rapporti dell’imprenditore con il clan Polverino-Nuvoletta. Nei giorni immediatamente precedenti alla fuoriuscita formale di Simeoli dalla società viene intercettata una conversazione tra Giovanni De Vita e suo fratello Luca in cui si fa riferimento alla necessità di individuare una persona che non metta i soldi nella società e che abbia «un ruolo certo e attendibile». E lo trovano. «Quindi tradotto deve essere proprio Lello Iovine». Raffaele Iovine è il soggetto scelto, per via della sua reputazione e della sua professione, per dare credibilità all’impresa travolta dallo scandalo Simeoli. È un prof universitario di Storia e letteratura e secondo l’accusa si inserisce nel progetto dei parcheggi a opera della Immobiliare Belvedere dalla data della apparente messa a riposo di Simeoli, cioè dal 15 settembre 2012. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali è emerso che Iovine, grazie a relazioni con persone appartenenti alle istituzioni, si è adoperato per restituire una apparente veste di legalità e trasparenza al progetto dei box in via Aniello Falcone, rilascia anche interviste e comunicati stampa. E a De Vita avverte: «Siete sicuramente…te lo metto per iscritto intercettati quindi evitate di parlare con Simeoli». La prassi del mutuo È la tecnica collaudata per mascherare e cadenzare le iniezioni di liquidità di fondi illeciti che altrimenti, secondo la ricostruzione investigativa al cuore della nuova inchiesta della Dda, desterebbero sospetti per il loro carattere improvviso e per l’incerta provenienza. In pratica, si ottiene un mutuo in banca e lo si utilizza come copertura per muovere soldi che hanno altra provenienza. Ne hanno parlato agli inquirenti anche alcuni collaboratori di giustizia. Ed è uno degli escamotage utilizzato dagli indagati, oltre a operazioni finanziarie di vario tipo, come la nota di credito emessa da una società a favore di un’altra quando, secondo l’accusa, a luglio 2013 si deve mascherare il ribaltamento dei costi, ritenuto anomalo dagli inquirenti, deciso a ottobre 2011. Le teste di legno L’inchiesta riguarda anche loro, i prestanome, insospettabili scelti per la loro reputazione o la loro professionalità . Gente scaltra, secondo gli investigatori. «Non sono sprovveduti tossicodipendenti o anziani nullatenenti, come spesso accade in casi analoghi, del tutto ignari dell’illecito che sono chiamati a compiere – sottolinea il gip Claudio Marcopido nel provvedimento cautelare – ben dimostrando le intercettazioni, ma anche il profilo professionale di alcuni di essi, l’inquadramento meditato nel progetto criminale di cui sono parte».