Il pentito Caiazza in aula: “Ad uccidere il tatuatore furono Aprea e Russo”

Il pentito di camorra Paolo Caiazza, ex uomo di vertice dell’ala scissionista degli Amato-Pagano di Secondigliano ha confermato ieri in aula le accuse contro coloro che vengono indicati come i killer del tatuatore di Casavatore, Gianluca Cmminiello. “Ad ucciderlo sono stati Raffaele Aprea e Vincenzo Russo ‘ o lungo, me lo ha detto mi zio Antonino D’Andò”. Parole che non lasciano adito a dubbi. Il pentito ha anche  confessato: “Tutti noi sapevamo che era stato ammazzato un innocente. Anche per questo non parlavamo mai di quello che era accaduto. Erano gli gli stessi capi a pretendere da parte di tutti il silenzio più assoluto. Eravamo coscienti di avre gli occhi addosso e al tempo stesso avevamo paura che le forze dell’ordine potessero incastrarci tramite intercettazioni. Ma in seguito di questa faccenda ne parlai con tanta gente”. Caiazza ha anche spiegato il perchè dell’omicidio e le fasi di preparazione. Partimmo dalla nostra base, un appartamento di via Cicerone a Melito. Eravamo in dieci. Ci dividemmo in tre auto e andammo a Casavatore. Arrivati sul posto ci siamo resi conto che il negozio era chiuso, a quel punto siamo andati via”. Invece poi alla ricerca del tatuatore andarono Aprea e Russo e per il giovane innocente purtroppo fu la sua condanna a morte. Ha raccontato ancora Caiazza: “Sia Lelluccio Aprea sia Enzo Russo facevano parte degli Abete-Notturno, gruppo di mala con cui siamo stati tutt’uno fino al 2012. All’epoca dell’omicidio del tatuatore non c’era stata ancora alcuna rottura. In seguito alla nostra spedizione andata a vuoto fu mi zio a riferimi della decisione del clan di voler gambizzare Cimminiello. Le cose però sono andate diversamente. I sicari si sono spinti oltre e non so dire per quale ragione. Mio zio mi disse che della faccenda si sarebbero occupati Raffaele Aprea e Vincenzo Russo. Ad ogni modo io con loro due  non ho mai parlato direttamente. Non avevamo rapporti confidenziali. Ci salutavamo e basta. So che prendevano la mesata dal clan, ma non so quali fossero i loro compiti all’interno dell’organizzazione. L’ordine di intervenire sulla vicenda era arrivato direttamente da Arcangelo Abete. Si trattava di un piacere a Cesare Pagano”. Cimminiello aveva postato sul proprio profilo facebook una foto con Lavezzi, ex calciatore del Napoli famoso per i suoi dribbling ma anche per i suoi tatuaggi, sollevando le invidie del collega Vincenzo Donniaco “il cubano” amico di Vincenzo Noviello a sua volta cognato del boss Cesare Pagano. Noviello su invito dell’amico aveva organizzato una spedizione punitiva nei confronti del tatuatore, ma Cimminiello, esperto di arti marziali, mise in fuga i suoi aggressori, che si ripresentarono nel suo laboratorio armati di pistola E ad avere la peggio fu proprio Noviello che non “digerì” lo sgarro pretentendo dal clan un’altra punizione scaturita poi con la morte di Cimminiello. Si torna in aula il 13 ottobre per la requisitoria del Procuratore generale e le richieste di condanne.


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