Hanno parlato a lungo, rispondendo alle domande del gip e difendendosi. Ogni interrogatorio è durato circa tre ore. Carlo Simeoli, il costruttore ritenuto vicino a uomini del clan Polverino anche per via della parentela con Angelo Simeoli considerato imprenditore in affari con la camorra, Roberto Imperatrice, imprenditore noto nel settore della ristorazione, e Giovanni De Vita, commercialista e consulente fiscale di calciatori famosi e vip, sono comparsi per l’interrogatorio di garanzia dinanzi al gip Claudio Marcopido all’indomani del provvedimento di custodia cautelare in carcere. Nessun reimpiego di soldi della camorra, a sentire loro. Nessuna operazione illecita. Imperatrice si era informato sui soci e si era fidato, anche perché c’era tanto di certificazione dell’antiracket. Anche De Vita ha fatto riferimento, in un passaggio della sua tesi difensiva, alle rassicurazioni ottenute sul conto degli altri imprenditori. Come riporta Il Mattino in edicola quando fu interrogato dagli inquirenti a marzo 2015 spiegò di aver conosciuto Simeoli nel 2010. «Prima di intraprendere attività imprenditoriali comuni con Carlo Simeoli mi sono informato anche con il noto Tano Grasso, amico di Roberto Imperatrice e di Raffaele Iovine, a loro volta miei amici da tempo e entrambi anche soci della Immobiliare Belvedere» chiarì. Raccontò inoltre agli inquirenti che l’iniziativa societaria con Simeoli si concretizzò nel secondo semestre 2011 quando la Immobiliare Belvedere (interessata alla costruzione di un centro sportivo con un parcheggio con 122 box in via Aniello Falcone al Vomero finito sotto la lente della Procura con il sospetto che si trattasse di una iniziativa imprenditoriale destinata a reimpiegare soldi di provenienza illecita) ottenne dal Comune di Napoli il permesso di costruire e Simeoli entrò nella società dopo i rilascio del permesso. «Lo scelsi – precisò De Vita – per la sua esperienza nel settore dell’edilizia dopo aver fatto un sondaggio su altre manifestazioni di interesse relative all’affare dei parcheggi di via Aniello Falcone». Nella sua versione, i rapporti con Simeoli, dopo la sua fuoriuscita dall’affare, proseguirono per questioni di tipo finanziario legate alla necessità di regolarizzare la posizione di socio, perché Simeoli vantava ancora un credito sul quale dovevano accordarsi. E le precauzioni che si suggerivano anche con altri indagati di cambiare telefono sarebbero state legate ai timori per il contenzioso avuto con il presidente Tesauro della Corte Costituzionale per degli esposti che De Vita ha detto di aver ricevuto dall’alto magistrato per reati edilizi. E in effetti violazioni in materia edilizia furono alla base di un provvedimento di sequestro che bloccò la costruzione dei parcheggi.
Intanto nell’ambito dell’inchiesta parallela che vede coinvolto per fuga di notizie di generale Giuseppe Mango della Guardia di Finanza è stato sentito Giuseppe Magliocco, già comandante provinciale della guardia di finanza di Roma e ora passato al comando generale. La decisione di ascoltare l’alto ufficiale appare legata al fatto che all’epoca dei fatti contestati a Magno (siamo nel 2014) Magliocco era al comando del Scico, il reparto speciale impegnato nelle attività investigative sui rapporti tra imprenditori e camorristi che sono al centro del principale filone dell’inchiesta di Napoli e in relazione al quale sarebbero filtrate indiscrezioni che dovevano invece rimanere segrete. Magliocco era gerarchicamente sottoposto al generale ora iscritto nel registro degli indagati e per questo gli inquirenti potrebbero aver deciso di ascoltarlo, per avere chiarimenti su ciò che accade in quel periodo finito sotto la lente di ingrandimento della Procura napoletana. Gli inquirenti stanno cercando di fare piena luce sulla vicenda, in attesa dell’interrogatorio di Mango fissato per martedì dinanzi al gip che, come prevede la procedura, sentirà l’indagato prima di decidere sulla richiesta di misura interdittiva avanzata nei suoi confronti dalla Procura di Napoli.