Omicidio Oliva, ecco perché Furlan è stato scagionato

Fu scarcerato dopo quasi sei anni di reclusione e una condanna a 25 anni di carcere. Fabio Furlan era accusato di un atroce delitto: aveva ammazzato il suo amico Critoforo Oliva e poi aveva fatto sparire il corpo. Ma la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza grazie ad un ricorso accolto in due punti. Come riporta il Roma in edicola la chiave di volta per risolvere un enigma che sì tornerà nuovamente in appello ma con dei punti chiari da dover seguire. Lo scrivono i giudici della Suprema Corte in centinaia e centinaia di pagine nelle quali spiegano il percorso che ha portato alla decisione di cancellare sette anni di indagini: «Il ricorso è fondato in accoglimento dei motivi presentati dall’avvocato Saverio Senese il 18 settembre del 2015». Nel primo caso, in particolare, il penalista napoletano era riuscito a dimostrare che c’era una violazione di legge e un vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la Corte di Assise d’Appello di Napoli, dopo aver affermato che le censure difensive riguardanti l’attendibilità, intrinseca ed estrinseca, di un altro indagato poi definitivamente assolto, ovvero Karim Sadek, erano da considerarsi ampiamente giustificate, si era limitata a ritenere inutilizzabili le sue dichiarazioni, omettendo di considerare che a tale giudizio di inattendibilità discendeva invece una prova di segno contrario alla costruzione del giudice di primo grado, che invece era favorevole all’imputato.
L’avvocato Saverio Senese, difensore di Furlan, dimostrava che la Corte si era limitata a reiterare la prova in questione, senza trarne alcuna logica conseguenza.
Ma c’era anche il secondo motivo presentato da Senese e accolto dalla Corte. Si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto
che la Corte d’Assise pur avendo condiviso il giudizio di inattendibilità di Sadek, aveva espresso un giudizio di colpevolezza di Furlan, sulla scorta di una ricostruzione degli accadimenti criminosi, fondata su elementi di privi di forza indiziante. Il penalista ha dimostrato, inoltre, che il giudice aveva seguito un percorso contraddittorio riguardanti la tempistica e il movente dell’omicidio.


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