E’ durata tre ore la prima udienza del processo, in corso ad Avellino, per la tragedia del bus precipitato il 28 luglio del 2013 dal viadotto dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino (Avellino), in cui persero la vita 40 persone. Nel processo restano una ventina di parti civili, rispetto alle 109 costituitesi: si tratta in maggioranza di familiari e parenti delle vittime, che non hanno accettato il risarcimento proposto da Autostrade spa, ma anche di alcuni automobilisti tamponati dal bus prima del suo impatto con le barriere e il salto nel vuoto da un’altezza di trenta metri. I 15 imputati sono accusati di omicidio plurimo colposo e disastro colposo. Tre di essi, il proprietario del bus, Gennaro Lametta, e due dipendenti della Motorizzazione Civile di Napoli, Vincenzo Saulino e Antonietta Ceriola, devono anche rispondere di falso in atto pubblico per aver falsificato il documento di revisione dell’automezzo che al momento dell’incidente aveva percorso oltre 900 mila chilometri. Il giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, che ha fissato le prossime udienze il 28 ottobre e il 9 e 29 novembre prossimi, dovrà decidere sulla richiesta di alcune associazioni di essere ammesse come parti civili e su quella presentata dalla Procura di Avellino, che ha condotto le indagini e ottenuto il rinvio a giudizio di 15 persone, di inserire agli atti del processo la perizia tecnica redatta da consulenti d’ufficio pochi giorni dopo l’incidente. Su entrambe le richieste si sono opposti i difensori degli imputati, 12 dei quali dipendenti o ex dipendenti della Società Autostrade per l’Italia, tra i quali l’amministratore delegato e il direttore generale del tempo: le associazioni, hanno sostenuto i difensori dei vertici della società, non hanno titolo per essere ammesse alle richieste risarcitorie; la perizia della Procura deve restare fuori dal processo perché non avrebbe garantito il contraddittorio di persone, oggi imputate, che alla data della stessa perizia non lo erano.
“I fatti addebitati ad Autostrade per l’Italia sono legati ad un presunto difetto di manutenzione, a nostro avviso certamente insussistente, e che in ogni caso riguarderebbe lo stato di efficienza dei bulloni di ancoraggio che rappresentano un elemento assolutamente marginale nel funzionamento della barriera, ed a scelte di carattere tecnico e progettuale assolutamente corrette, essendo stata la barriera già oggetto di precedente sostituzione con un tipo “moderno” e adeguato”. Così Elisabetta Busuito, legale di Autostrade per l’Italia, al termine della prima udienza del processo. “Tutti questi aspetti saranno oggetto del dibattimento, ma siamo certi di poter dimostrare la totale estraneità di tutti i dirigenti ed i dipendenti di Autostrade coinvolti nel processo. Il dibattito stranamente coinvolge anche l’amministratore delegato della società su scelte di carattere eminentemente tecnico, nonostante i fatti accertati abbiamo dimostrato la sua totale estraneità”, afferma Busuito. Secondo il legale “nel rispetto assoluto dei familiari delle vittime e della magistratura, verso la quale esprimiamo la massima fiducia, è opportuno fare chiarezza sul drammatico incidente. E’ accertato che il bus, che non doveva e non poteva circolare perché senza alcuna manutenzione, con più di 1.000.000 di km percorsi, senza freni e senza controllo, è piombato come un proiettile sul viadotto ed è la causa della tragedia. Inoltre, alla guida del bus c’era il povero Lametta che risulta sia stato assoldato all’ultimo momento dal fratello dopo che il conducente abituale si era rifiutato di effettuare il viaggio visto lo stato di manutenzione precaria del mezzo”.