Suicidio di Tiziana: indagini sul mercato hard, sequestrati pc e telefoni dell’ex

Sequestrati due computer e una decina di iPhone. Mezzi informatici utilizzati per lo più dall’ex fidanzato di Tiziana Cantone, Sergio Di Palo. Un imprenditore con il quale la giovane per un breve periodo ha anche convissuto. L’analisi dei contenuti è complessa. Ma è un primo passo per fare chiarezza. La procura di Napoli nord accelera i tempi dell’indagine per istigazione al suicidio di Tiziana Cantone e chiude il cerchio attorno a una lista di nomi entrati a pieno titolo in alcuni verbali acquisiti al fascicolo curato direttamente dal procuratore Francesco Greco e dal sostituto Rossana Esposito. Allarga, però, la prospettiva investigativa puntando anche sul traffico di gadget con sopra impressa la frase pronunciata da Tiziana durante un rapporto sessuale filmato e messo in rete. Persino «ebay», il sito dello shopping online più visualizzato al mondo, propone la vendita della maglietta bianca con sopra impressa la frase “Stai facendo il video? Bravo”. Tiziana si è tolta la vita proprio a causa di quel filmino hard diventato popolare e virale, ipotizzano gli inquirenti. Una decina sono i testimoni ascoltati come persone informate dei fatti dal procuratore Greco ieri e giovedì. E tra queste anche alcune amiche di Tiziana. Tutti puntano il dito su un gruppo ristretto di persone che frequentava Tiziana quando era in preda ai fumi dell’alcol e si faceva filmare mentre consumava un rapporto sessuale. Si procede, per ora, solo per istigazione al suicidio. Inchiesta difficile, in ogni caso. Perché difficile è provare il «dolo», l’elemento psicologico che il presunto istigatore avrebbe dovuto conoscere per indurre al suicidio Tiziana. Una consapevolezza che i gestori dei siti web in parte avevano, essendo stati raggiunti dalla richiesta legale di oscurare il video. Anche se il giudice Monica Marrazzo aveva accolto la metà dei ricorsi presentati e in un passaggio della sentenza aveva spiegato che non c’era, probabilmente, il diritto all’oblio che necessitava la rimozione di vecchi articoli perché i fatti erano recenti. Una presunta contraddizione che tuttavia non aveva inficiato la decisione. La realtà dei fatti è che solo un parente, un’amica intima della vittima poteva sapere della vergogna profonda provata dalla trentunenne. C’è, però, il fidanzato di Tiziana, Sergio, che conosceva bene quel sentimento. “Il ragazzo l’aveva accompagnata qualche volta nel mio studio – spiega l’avvocato Fabio Foglia Manzillo – ma niente di più, parlavo essenzialmente con lei”. Ora che Tiziana è morta, la vittima è esposta al secondo martirio, chiacchierata spietatamente come «colpevole» del suo male. Oppure giudicata eccessivamente ingenua e vittima delle sue idee, non importa quali. I siti web hanno guadagnato su di lei attraverso la visualizzazione dei banner posti accanto all’immagine della ragazza. In un processo simile a quello di Tiziana, a Torino, due anni fa, si era giunti in tempi rapidi all’eliminazione del video di un ragazzo con la sindrome di Down schernito dai compagni di scuola. In Procura a Napoli il secondo procedimento nei confronti di quattro indagati per diffamazione di Tiziana va, dopo un anno, verso la chiusura. Il fascicolo napoletano nelle mani del pm Alessandro Milita potrebbe portare alla richiesta di rinvio a giudizio dei quattro o all’archiviazione nei confronti di alcuni indagati che avrebbero ricevuto il video su WhatsApp, ma non lo avrebbero diffuso in internet. Lunedì il vertice in Procura a Napoli nord potrebbe sancire l’unione dei due fascicoli. Di Tiziana non resta che questo: il processo. Nessun cartellone c’era ai funerali per dire: “Non ti dimenticheremo”. In fondo lei, la bella Tiziana, voleva proprio questo: essere dimenticata.


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