La clamorosa e inaspettata svolta nelle indagini sulla morte di Francesco Bosco, l’ex tassista 47enne il cui corpo senza vita venne scoperto il 21 aprile scorso all’interno della sua abitazione nel Parco Persichetti, lungo via Caravaggio a Fuorigrotta arriva cinque mesi dopo, al termine di lunghe e delicate indagini. Non ci fu omicidio, e nemmeno suicidio. L’uomo morì per un tragico incidente domestico: a queste conclusioni sono giunte le indagini della Polizia di Stato e della Procura. L’indagine. Caso chiuso, dunque. Nessun giallo: a diradare le ombre e a svelare il mistero ci hanno pensato le indagini tecniche svolte dagli esperti della Polizia scientifica. Bosco,come riporta Il Mattino, spiega la perizia consegnata alcune settimane fa in Procura, è morto dopo la caduta accidentale di un’anta dell’armadio che si trovava nella camera da letto. Nella rovinosa caduta lo spigolo del cassettone si è conficcato nella parte posteriore del cranio, provocando una profonda ferita e la conseguente perdita di sangue. Tragico incidente. Bosco viveva solo e da tempo – anche questo è emerso dalle indagini condotte dai poliziotti del commissariato San paolo – soffriva di crisi depressive. Aveva venduto la licenza del taxi e stava per lasciare l’appartamento del Parco Persichetti per trasferirsi sul litorale domizio, dove aveva acquistato un piccolo appartamento. L’uomo faceva uso di psicofarmaci, e proprio gli antidepressivi lo avrebbero tradito. Al momento dell’incidente l’ex tassista sarebbe rimasto in stato confusionale: e anziché chiedere soccorso per la ferita riportata alla testa, si sarebbe dedicato a pulire le tracce di sangue caduto sul pavimento. Di sicuro avrebbe sottovalutato quella ferita, e ciò gli è risultato fatale. La svolta. Non a caso sono stati proprio i rilievi eseguiti nei laboratori della Polizia scientifica guidata dal primo dirigente Fabiola Mancone a svelare questo incredibile retroscena: durante un sopralluogo eseguito nell’abitazione di Bosco gli agenti hanno così scoperto quell’anta di armadio sulla quale c’erano ancora tracce ematiche e residui del cuoio capelluto della vittima. Solo così si è riusciti a ricostruire il mistero. I risultati degli investigatori sono stati acquisiti dal pubblico ministero, che ha così disposto l’archiviazione del caso.
Il corpo di Bosco fu trovato riverso sul pavimento della cucina. Tutte le luci erano accese, segno evidente che l’incidente avvenne quando era già calato il buio. Da quel momento scattarono le indagini, che non esclusero alcuna pista. Vennero ascoltate decine di persone, tra parenti, amici e conoscenti dell’uomo; si pensò anche di essere arrivati ad una svolta quando emerse – dal racconto di uno dei guardiani del parco – l’ipotesi di un misterioso uomo che, a piedi, si sarebbe incamminato verso il civico 143 la sera precedente alla scoperta della morte. Poi, però, cominciarono ad emergere le incongruenze. A cominciare dall’assenza di impronte digitali diverse da quelle della vittima all’interno dell’appartamento. Possibile che il presunto assassino potesse averle cancellate? E che della sua presenza in quella casa non ci fosse la minima traccia? Dal combinato disposto, dall’intreccio delle risultanze investigative svolte sia dai poliziotti del commissariato San Paolo che della Scientifica emerge insomma con assoluta certezza che al momento della morte di Bosco all’interno del suo appartamento non ci fosse che lui. Nessun’altra presenza umana, se non quella della vittima. Gli atti e le informative degli investigatori, come detto, sono stati già consegnati al magistrato inquirente della Procura della Repubblica, che ha disposto l’archiviazione del caso intorno al quale, per mesi, si era scritto, detto e ipotizzato di tutto.