Tangenti nella Piana del Sele: chiuse le indagini per il boss Giffoni e 33 affiliati

Chiuse le indagini sugli affari illeciti del clan Giffoni tra Battipaglia e la Piana del Sele: in 34 rischiano il processo per camorra. Si tratta dei protagonisti della prima tranche dell’inchiesta della Dda sul cosiddetto “Sistema”, un gruppo delinquenziale che, secondo l’Antimafia di Salerno, ha tenuto sotto scacco la città di Battipaglia e i comuni limitrofi per molti anni, riuscendo a condizionare i settori economico, sociale e soprattutto politico, attraverso il controllo del voto nel corso delle elezioni amministrative. Alla sbarra sono chiamati il boss della Piana del Sele, Biagio Giffoni, oggi recluso in regime di 41/bis come il suo consigliere personale, Bruno Noschese. Con loro sono imputati una schiera di gregari e “comparielli” che, appunto, attraverso il “Sistema” messo in piedi “dallo zio”, come chiamavano in gergo Giffoni, gestivano il potere del clan imponendone l’egemonia sul territorio.Le indagini avevano preso avviso grazie alle dichiarazioni del pentito Remigio Riccio che aveva raccontato anche i legami che il boss aveva stretto a Poggiomarino, attraverso Pasqualino Garofalo, e con il clan Sarno, operativo nel quartiere Pazzigno di Ponticelli, a Napoli, attraverso i consanguinei Piscopo Antonio e Luigi. Giffoni, nel disegnare la strategia del suo Sistema, aveva previsto un patto federativo con i vicini di Bellizzi e i referenti dei fratelli Pecoraro, capostipiti dello storico clan. L’anello di congiunzione – scrive la Dda – erano i gemelli Bisogni, Enrico e Sergio, anche attraverso l’opera di Roberto Benicchi, ritenuto dagli inquirenti “appartenente alla stessa bandiera”, ferito in un agguato a colpi di arma da fuoco nel 2006, che fu poi affiancato da Sabino De Maio di Montecorvino Rovella, scampato, a sua volta, all’agguato del 9 gennaio 2011. Gli affari del “Sistema”. La forza del Sistema stava proprio nella capacità di sfruttare ogni canale illecito per un ritorno economico. Il clan Giffoni era riuscito adimporsi in quegli anni nella gestione del gioco d’azzardo, in special modo delle bische, divenute una fonte privilegiata, del monopolio dei videopoker nei vari esercizi, imponendo propri gestori di apparecchi o esigendo estorsioni in percentuale sugli introiti, e le estorsioni ad imprenditori con un buon fatturato o impegnati in appalti pubblici. Per individuare gli obiettivi il clan si serviva, ad esempio, di “talpe” all’interno degli enti. Uno di questi – scrive l’accusa – era l’impiegato comunale Franco Cataldo. Gli imprenditori taglieggiati. Cinque sono i casi estorsivi, aggravati dal metodo mafioso, contestati al clan: ai danni del titolare di un distributore di carburanti a Taverna delle Rose, del titolare di una nota catena per la produzione e la commercializzazione di prodotti caseari, di un commerciante che gestisce negozi di telefonia, dell’impresa Sif di Napoli, impegnata nella costruzione di un lotto dell’A3, di una rivendita di auto della zona industriale. L’udienza preliminare, dinanzi al gup Ubaldo Perrotta, è in calendario alla fine di ottobre. (fonte la città)

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