Torre Annunziata, 50 anni di carcere ai pusher del Parco Apega dell’operazione “Biancaneve”

Droga e armi nell’orbita del clan Gionta, condanne per otto pusher del sistema “Biancaneve”. ITribunale di Torre annunziata ha inflitto circa mezzo secolo di carcere agli imputati processati con rito abbreviato e che quindi hanno beneficiato dello sconto di pena previsto.. La pena più pesante è stata inflitta ad Antonio Calderino, considerato uno dei capi dell’organizzazione satellite dei Valentini, condannato a 9 anni di reclusione. Qualche mese in meno (8 anni e 10 mesi) per Pasquale Nazionale, 6 anni e 8 mesi per Francesco Fiorillo (già condannato anche nel primo filone di Biancaneve e considerato tra i gestori della piazza di spaccio) e 6 anni al fratello Felice. Per Francesco Cirillo e Serafina Livello è arrivata la condanna a 5 anni e 5 mesi ciascuno, per Andrea Cozzolino a 4 anni e 4 mesi, mentre per Giuseppina Gallo a 10 mesi dopo l’assoluzione da alcuni capi d’imputazione. L’operazione Biancaneve era stata condotta dalla Guardia di Finanza nel 2012, dopo due anni di indagini serrate che avevano riguardato in particolare il rione Murattiano, le case verdi del parco Apega, via Sambuco e in via Giardino (due traverse del corso Vittorio Emanuele III), fino alla Cuparella. Le zone erano controllate da una squadra di pusher, per lo più formata da donne e minorenni, tra le quali una 14enne di nome Maria Neve, che aveva dato ispirazione agli inquirenti per il nome in codice dell’operazione antidroga contro lo spaccio in particolare proprio di cocaina. Stando alle indagini coordinate dalle pm Mariangela Magariello e Rosa Annunziata, erano tre le principali piazze di spaccio che facevano parte dell’organizzazione. E tanti erano i baby-pusher, tra i quali proprio la 14enne: base alle case verdi, padre in carcere e madre incinta, la ragazzina era costretta a spacciare per mantenere la famiglia, ed aveva imparato bene il «mestiere» di famiglia, consegnando cocaina a piedi o in scooter. Come per il primo filone processuale, anche «Biancaneve 2» è stato celebrato senza l’aggravante mafiosa: lo spaccio di droga, infatti, avveniva in pieno territorio del clan Gionta, sotto l’influenza della camorra, ma non aveva alcun «coordinamento» diretto con Palazzo Fienga. Secondo gli inquirenti, però, dell’organizzazione facevano parte pregiudicati come Carlo Iapicca, figlio di Giovanni, uno killer ergastolani dei Gionta. Tra le accuse contestate a Calderino, infine, anche una rapina a mano armata commessa a Pompei, che ha fatto appesantire la condanna nei suoi confronti.


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