Ha deciso di pentirsi e subito dopo, qualche mese dopo, di ammazzarsi impiccandosi nel carcere di Rebibbia a Roma dove era detenuto nel reparto destinato ai collaboratori di giustizia. Si tratta di Diego Basso ed aveva 48 anni: personaggio di spessore del clan Pesce-Marfella. L’uomo si è suicidato impiccandosi e a nulla sono valsi i tentativi di soccorso prestati dal personale di Polizia Penitenziaria e dal personale sanitario. Era tornato in carcere a fine aprile scorso perché destinatario insieme con Antonio Scognamiglio di un ordine di carcerazione per l’omicidio di Francesco Esposito, morto per mano dei clan del Rione Traiano, venduto dai Marfella di Pianura per un’estorsione in territorio nemico. Un omicidio deciso a tavolino perché era alto il rischio di faida che non poteva esserci soluzione che “vendere” il ragazzo. Era stato la Corte di Cassazione a deciso sull’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei presunti mandanti ed esecutori dell’omicidio di 15 anni fa. Un omicidio deciso nel pieno della faida tra i “Marfella-Pesce-Bernardo” e i D’Ausilio che, all’epoca avrebbero provato ad estendersi in zona Soccavo-rione Traiano. Secondo la ricostruzione investigativa: la vittima fu convocata, pestata a sangue e imbavagliata tra le palazzine del rione Traiano; poi, ancora in vita, Esposito fu impacchettato in un bagagliaio di una Scenic e ucciso in un secondo momento. Il suo cadavere fu ritrovato a Fuorigrotta crivellato di proiettili. Una ricostruzione fatta grazie alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: uno molto recente, Giovanni Romano, uno molto datato, Luigi Pesce. Per quell’omicidio la Dda aveva chiesto l’arresto di Diego Basso, Ciro Bernardo, Gaetano Lazzaro, Luigi Pesce, Salvatore Perrella, Giovanni Romano e Antonio Scognamglio. Poi ad aprile la Cassazione aveva deciso che Basso e Scognamiglio doveva andare in carcere. Il ras di via Cannavino a quel punto ha cominciato a collaborare con la giustizia. Poi ieri l’improvvisa decisione di farla finita.