“Io sono mandante dell’omicidio di Mimì o tavutaro, del quale Pannone è esecutore materiale; credo che il cognome della vittima fosse Esposito. Era proprietario di un’azienda funebre a Casoria, all’epoca c’erano due aziende funebri, una dei Castaldo e l’altra degli Esposito. C’è sempre stata guerra per la gestione delle attività collegate a questo settore delle pompe funebri. Esiste un controllo mafioso delle rispettive zone di competenza, lo fanno tutte le ditte che operano in questo settore. Ci fu un’invasione di campo, nel senso che un carro della ditta Montuoro di Napoli andò a trasportare un defunto di Casoria, e fu una sorta di guanto di sfida”. E’ partito da lontano, anzi da lontanissmo e non poteva essere altrimenti Pasquale Scotti, l’ex braccio destro di Cutolo arrestato due anni fa in Brasile e pentito da qualche mese dopo la sua estradizione in Italia. Nel suo verbale, datato 15 giugno, e depositato agli atti del processo che si sta celebrando dinanzi alla sesta penale, dove è imputato l’imprenditore Salvatore Esposito, proprio a proposito del racket delle agenzie di pompe funebri, Scotti ricostruisce delitti, inquadrandoli nella cosiddetta faida del caro estinto, una guerra scoppiata tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta per la gestione del trasporto funebre. E a quell’omicidio ne seguirono tanti altri. Scotti ricorda un appostamento fatto in zona Doganella assieme al suo affiliato Peppe “maciste”, che si concluse con una sventagliata di colpi nel furgone della ditta che aveva invaso per prima un territorio non suo, rompendo equilibri già di per sé fragili. L’ex boss pentito parla anche di una sorta di “processo” nei confronti di un giovanissimo ritenuto responsabile di una sorta di soffiata. “…C’era un ragazzo che era accusato di aver fatto la soffiata per l’omicidio di un nostro affiliato (si chiamava Carmine Carnevale e venne ucciso nel 1983). Su mio ordine, i miei affiliati sequestrarono quel ragazzo e io lo interrogai. Ricordo che tremava come una foglia, eravamo in un appartamento di Cardito, assieme – tra gli altri – a Mauro Marra e Sergio Bianchi, mio capozona ad Arzano che invece fu ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia. Era terrorizzato il ragazzino, era fratello di un mio amico di gioventù, non trovai elementi per condannarlo a morte e lo lasciai andare”.Una ricostruzione la sua che abbraccia un periodo di almeno trent’anni, e naturalemnte con riferimenti ai suoi rapporti con la famiglia Moccia di Afragola e poi la guerra dei cutoliani contro la nuova famiglia di Alfieri e Galasso, i rapporti con i politici, il caso Cirillo e quindi la fuga e la latitanza dorata in Brasile, dove Scotti aveva messo su famiglia e vestito i panni dell’imprenditore.