“Fine pena mai” è la richiesta del pm Sergio Ferrigno della Dda di Napoli per Vincenzo Spagnuolo, killer del clan Ascione-Papale di Ercolano accusato di essere il killer di Salvatore Barbaro, il cantante neomelodico ennesima vittima innocente delle barbarie della camorra. Il clamoroso errore si consumò il pomeriggio del 13 novembre del 2009. Il giovane che di professione faceva il muratore fu scambiato per un affiliato al clan Birra-Iacomino, con cui il giovane aveva solo una cosa in comune: lo tesso tipo di l’automobile, una Suzuki Swift di colore grigio. I killer giunsero in via Mare in sella ad un motociclo e gli esplosero contro undici colpi di pistola calibro nove. Il ragazzo, raggiunto dai proiettili alle spalle, terminò la sua corsa impattando contro il muro di contenimento del cantiere di scavo di Villa dei Papiri. L’omicidio del giovane cantante si consumò poco dopo le 15. Il giovane era da pochi istanti uscito da un negozio di materiali edili dove era stato in compagnia di un suo conoscente, che quando sentì gli spari prima si nascose nell’abitacolo della macchina per poi darsi alla fuga impaurito. Per l’omicidio di “Salvio il cantante”, così era conosciuta la giovane vittima, sono invece a processo ordinario il boss Natale Dantese, ritenuto il mandante e Antonio Sannino e Pasquale Spronello.
A raccontare particolari importanti sull’omicidio, come ricorda Il Roma, è stata la collaboratrice di giustizia Antonella Madonna, ex moglie del boss al 41 bis Natale Dantese La donna ha raccontato agli inquirenti, che era venuta a cono- scenza di quanto accaduto tramite il marito, la sera stessa dell’agguato. Insieme a Dantese la donna accompagnò Spagnuolo a Scafati dove quest’ultimo si doveva nascondere. In macchina sentì il marito parlare di questo omicidio con Spagnuolo, il quale precisò che lo scambio di persona era stato causato dall’errore di chi aveva dato male la “battuata”. E proprio in virtù dello “sbaglio” Dantese consegnò solo ottocento euro al killer. Spagnuolo – come sottolinea Madonna – protestò per l’esiguo compenso ricevuto, dicendo che l’errore era stato commesso non da lui, ma da altri.