Faida al Cavone: chiesti 25 anni di carcere i tre giovani emergenti del gruppo Festa. Nel corso della prima udienza del giudizio con rito abbreviato che vede alla sbarra gli ex emergenti del gruppo Festa, il pubblico ministero della Dda Michele Del Prete ha chiesto 25 anni di reclusione per i tre ras che nella scorsa primavera hanno dato il via alla strategia della tensione con i concorrenti del clan Esposito. Nove anni di carcere per Salvatore Festa, figlio del boss Gaetano. Il 20enne del Cavone dovrà rispondere del reato di rapina aggravata dall’articolo 7 ai danni del rivale Giuseppe Tommasino. Festa è imputato anche con l’accusa di tentata violenza contro Patrizio Petagna. Per Salvatore Alfano la richiesta è stata invece di otto anni di reclusione. Il 36enne, insieme a Festa, avrebbe infatti preso parte come complice a quella stessa rapina. Il pubblico ministero ha infine chiesto una condanna a otto anni per Carmine Moliterno. Il 24enne, inizialmente imputato per tentato omicidio, si è visto in seguito derubricato il reato contestatogli in violenza. Sarebbe stato lui, infatti, a fare fuoco contro l’abitazione di Tommasino.
I tre furono arrestati nel marzo scorso: volevano imporre il predominio del loro nuovo gruppo criminale formato da pochissime persone e volevano farlo cercando in ogni modo di cacciare via dal Cavone, la strada che da piazza Mazzini corre verso piazza Dante, il gruppo rivale. E pertanto avevano preso di mira Giuseppe Tommasino detto “Peppone”, ritenuto vicino al gruppo rivale, quello che fa capo agli Esposito. Le indagini portarono alla luce una serie di “frizioni” tra il gruppo Festa e quello Esposito, per il controllo della vendita dell’hashish, della cocaina, e per un giro di estorsioni da imporre ai negozianti del quartiere: affari che sfruttano svariati di migliaia di euro al mese. È emerso così che il 9 luglio dello scorso anno, Giuseppe Tommasino era entrato in contrasto con i tre. Nel pomeriggio fu avvicinato da due ragazzi e rapinato, con una pistola puntata in faccia, del suo scooter. Erano Salvatore Festa e Salvatore Alfano, che minacciandolo si facevano consegnare il suo ciclomotore, poco dopo ritrovato incendiato vicino piazza Mancini.
In ballo, come confermato da una raffica di informative redatte dagli investigatori della polizia di Stato, c’era il vuoto di potere determinato dall’estinzione della precedente cosca egemone, quella guidata dal boss Carmine Lepre, plenipotenziario dell’organizzazione dopo l’arresto del fratello Ciro “’o sceriffo”, ma rimasto ucciso nel clamoroso agguato messo a segno nel settembre 2014. La pubblica accusa ha poi ricordato come l’arresto dei tre ras in odore di faida fosse maturato nell’ambito di una più ampia attività investigativa, condotta all’epoca dagli uomini della Squadra mobile e del commissariato Dante, e finalizzata a individuare le ragioni delle fibrillazioni in corso al Cavone dopo la scomparsa di Carmine Lepre. A fine ottobre è attesa la sentenza.
(nella foto salvatore festa)