“L’ultimo omicidio a cui ho partecipato personalmente come esecutore e’ quello del vigile urbano di San Cipriano d’Aversa”. Cosi’ l’ex boss del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, detto o’Ninno, collaboratore di giustizia, si autoaccusa il 9 maggio 2014 davanti ai pm, contribuendo a far luce sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana di San Cipriano d’Aversa avvenuto nel 1989 e maturato nell’ambito di una guerra interna tra i Bardellino e gli Schiavone. Il caso era rimasto irrisolto. Iovine ha raccontato di aver commesso personalmente l’omicidio con Raffaele Diana e Giuseppe Caterino, e le sue dichiarazioni fanno parte, insieme a quelle di altri pentiti, della misura cautelare emessa dal gip Isabella Iaselli nei confronti di 7 tra capi e gregari dei Casalesi, tra cui il superboss Francesco Schiavone, conosciuto come Sandokan. Il pentito spiega di aver chiesto al fratello Giuseppe, anch’egli vigile urbano, i turni di servizio e di aver così saputo che Diana il giorno scelto per l’agguato era a lavoro. “Siamo usciti con una Fiat Uno di colore scuro, Giuseppe Caterino (altro elemento di spicco del clan, ndr) guidava la macchina, io stavo a fianco e Raffaele Diana stava dietro”, ricorda Iovine, indicando gli esecutori materiali del delitto. “Io ricordo sono sceso per primo – prosegue Iovine – quindi ho sparato un solo colpo calibro 12, lui è caduto a terra; poi è sceso dietro di me Raffaele Diana e ha sparato anche lui; se non vado errando l’ha sparato nelle parti basse.Poi andammo al cimitero di San Cipriano dove consegnammo la macchina per farla incendiare, ma non ricordo chi se ne occupo’. Le armi le consegnammo a Giovanni Diana”.
Antonio Iovine nelle sue dichiarazioni ha ricordato che dell’omicidio del vigile nel gruppo se ne parlava gia’ da tempo per vendicare l’omicidio di Maurizio Russo nel quale l’agente della municipale aveva fatto da specchiettista secondo Sandokan. Sul caso dei documenti del vigile urbano ritrovati in un incidente aereo qualche giorno prima dell’omicidio, il boss pentito dice di non sapere nulla. Il volo parti’ da Orio al Serio e doveva arrivare a Santo Domingo, ma precipito’ alle Azzorre. “Non ne ho mai sentito parlare – specifica su domanda dei magistrati – ma ricordo che a Santo Domingo c’era la compagna di Antonio Bardellino, Rita De Vita, con la quale aveva avuto tre figli”. A questo proposito, il collaboratore in un interrogatorio questo anno ha raccontato di essersi ricordato di quell’episodio e che Antonio Diana si decise di ucciderlo proprio quando cadde l’aereo per Santo Domingo e furono ritrovati i suoi documenti. Dell’agguato avvenuto in via Roma alle 18.45 dell’11 febbraio 1989, Iovine ricorda anche le armi utilizzate: un fucile Safari a pompa calibro 12, un fucile da caccia e una Beretta 9X21 che non esplose colpi. “Avevo il volto coperto da passamontagna in quanto avvenne in pieno giorno – spiega – la Fiat Uno che utilizzammo era stata rubata in precedenza”. Su un particolare, ‘o Ninno non ha saputo dare delle spiegazioni. Secondo Iovine, infatti, all’omicidio non partecipo’ Cipriano D’Alessandro, e non ha saputo spiegare per quale motivo questi si sia autoaccusato che “non aveva funzioni di killer bensi’ attivita’ imprenditoriali”. Altri collaboratori le cui rivelazioni sono state fondamentali per ricostruire l’omicidio di 27 anni fa sono stati appunto Cipriano D’Alessandro, Luigi Diana, Giuseppe Quadrano e quelle di Carmine Schiavone nel 1993. Antonio Diana, che non era sposato e viveva da solo, fu ucciso da almeno 10 proiettili in parti vitali del corpo, e aterra gli investigatori trovarono 9 bossoli calibro 12. Tra i 7 arrestati, l’unico libero era Giovanni Diana, 69 anni, detto Giannino ‘u pazzo, che ospito’ i sicari in casa sua, custodi’ e si disfo’ delle armi, e fece da specchiettista. Tutti gli indagati devono rispondere di omicidio con l’aggravante della premeditazione e dei motivi abbietti di supremazia mafiosa.