Napoli. Aveva covato per mesi l’omicidio della moglie, maltrattandola e vessandola fino all’11 febbraio del 2013 quando la investì la bruciò viva: pesantissimo il giudizio dei giudici della Corte d’Assise d’Appello nelle motivazioni per la condanna di Vincenzo Carnevale per l’omicidio di Giuseppina Di Fraia, morta dopo 3 giorni di agonia. Quindi non un impulso momentaneo per l’uomo, dichiarato capace di intendere e di volere, ma un risentimento covato nel tempo. Trenta anni di reclusioni, gli avevano inflitto i giudici – presidente Domenico Zeuli – nel processo bis che si è celebrato al tribunale di Napoli dopo una medesima condanna con rito abbreviato. I retroscena della storia emergono dalla ricostruzione che i giudici inseriscono nei motivi della sentenza riprendendo le delicate e difficili testimonianze delle due figlie della coppia, un ventenne e l’altra ancora minorenne “il clima di terrore e violenza imposto da Carnevale ai componenti del suo nucleo familiare e la personalità estremamente violenta e atta a sfogare la sua aggressività su persone più deboli di lui” questo quello che sostengono i giudici. Le figlie raccontarono che quasi ogni notte il padre svegliava la madre a colpi di pugni in testa, non importava se fosse successo qualcosa di grave o meno. Un uomo che non lavorava, mentre lei la vittima si svegliava all’alba per andare dall’altra parte della città a lavare le scale dei palazzi e portare a casa i soldi per badare alla famiglia. “Aveva una debolezza ai denti e lui la colpiva sempre alla bocca sapendo che lei si vergognava se le cadevano i denti” avevano raccontato le figlie in aula. E poi quella minaccia messa in atto: “Tu non la scampi bene”. Un omicidio premeditato. Giuseppina Fraia fu vittima del marito.