Omicidio del 17enne al rione Traiano per i giudici il carabiniere: “Sparò per errore”

Napoli. “Il carabiniere non voleva sparare a Davide Bifolco”: il nocciolo delle conclusioni del giudice per le udienze preliminari, Ludovica Mancini, che ha condannato il carabiniere Giovanni Macchiarolo, il militare che due anni fa sparò al 17enne nel rione Traiano. Una motivazione quella depositata in vista del processo di Appello che conforta la tesi della difesa dell’imputato e smentisce le ricostruzioni di alcuni testimoni che avevano parlato di una vera e propria esecuzione con il ragazzo ammanettato, messo in ginocchio e poi ucciso a sangue freddo. Una ricostruzione falsa, secondo il giudice, che ha spinto il giudice a condannare per omicidio colposo il carabiniere con una pena d quattro anni e 4 mesi. Le motivazioni di quella condanna rivedono tutto quello che, nei primi giorni, si disse a proposito della morte di Davide Bifolco e della sua morte che era in sella ad una moto con altri due amici. I ragazzi non si fermarono all’alt. In quelle ore i militari davano la caccia al latitante Arturo Equabile. E i ragazzi furono inseguiti dalla pattuglia. Era notte, partì un colpo dalla pistola di Macchiarolo. Davide morì. A breve sarà fissato il processo d’appello a carico del carabiniere, appello chiesto dal difensore Salvatore Pane che chiede una riforma totale della sentenza di primo grado, emessa nell’udienza di giudizio abbreviato. Nelle motivazioni del giudizio di primo grado c’è una sconfessione di alcuni testimoni, molti amici della vittima. Il Gup riporta la testimonianza e le conclusioni del perito balistico: “Si deve ritenere che il colpo sia stato esploso in seguito all’assunzione di una posizione anomala da parte del corpo del carabiniere, che, per fermare Salvatore Triunfo e Davide Bifolco (entrambi in sella allo scooter che non si fermò all’alt), si è verosimilmente sbilanciato, forse inciampando nel marciapiede, perdendo l’equilibrio ed operando una involontaria pressione sul grilletto”. Poi la ricostruzione. Gli uomini della pattuglia danno l’alt allo scooter che non si ferma e i ragazzi provano a scappare. Vengono inseguiti, speronati e cadono. Macchiarolo estrae la pistola anche se il giudice riconosce che non vi erano e condizioni di pericolo per farlo. E dunque la condanna perchè per imperizia viene utilizzata l’arma, ma senza volontà di uccidere: “L’imputato non voleva sparare cagionando la morte di Davide Bifolco, né cagionandone una mera lesione, né, invero, voleva sparare in assoluto. Appare credibile – chiarisce il giudice – quanto dice lo stesso Macchiarolo (stavo cadendo e mi è partito un colpo), nonché quando sostiene di non essere riuscito a levare il dito dal grilletto”. Il giudice critica anche l’atteggiamento di alcuni testimoni: “L’assoluta inattendibilità dell’unico teste (Triunfo) sicuramente presente al momento dell’esplosione, oltre alla inverosimiglianza di altre testimonianze, non lascia spazio ad alternative”.
Era il cinque settembre del 2014, le tre di notte. E Davide Bifolco morì.

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