Torre del Greco, i pizzini del boss dal carcere: “Metà a te e metà allo zio, i patti rimangono gli stessi”

Una alleanza tra clan di comuni vicini per spartirsi gli affari illeciti, soprattutto quelli relativi alla droga. La documenta tra Torre del Greco ed Ercolano una indagine dei carabinieri che oggi ha portato alla notifica di 23 misure cautelari, 4 delle quali a persone detenute. Il patto finito nel mirino degli investigatori partenopei e’ quello tra la ‘famiglia’ Falanga, attiva a Torre del Greco, e la cosca Ascione-Papale di Ercolano. Il territorio da spartire e’ proprio quello torrese. In 450 pagine di provvedimento il giudice Egle Pilla ricompone un puzzle che vede i suoi primi tasselli nel 2013. Maurizio Garofalo, 44 anni, conosciuto come ‘o pullier, detenuto e ora destinatario di un nuovo mandato di arresto, da spacciatore ha fatto il salto di qualita’ ed e’ ai vertici dei Falanga, complice una serie di arresti che ha portato in istituti di pena i boss da cui il clan prende nome. E’ lui a stipulare un accordo con il capoclan Luigi Papale, anche lui destinatario della misura odierna e detenuto; dell’intesa, gli inquirenti hanno traccia in un colloquio intercettato in carcere a Catanzaro il 6 novembre di tre anni fa tra il fratello di questi, Alfio, e il figlio Pietro: “Ma a Ercolano… Maurizio… sta lavorando… sotto Gigino?”, domanda, mentre l’erede fa cenno di si’ con la testa. Quando Luigi Papale viene arrestato, il 16 gennaio 2014, l’accordo resta in vigore e a Torre Annunziata si parla con suo genero Andrea Oriunto, pure lui tra le persone cui e’ stato notificato il provvedimento del gip Pilla. Le microspie messe nella Ford Fiesta di Garofalo e nella sua abitazione porteranno poi a maggio di due anni fa a una perquisizione a casa sua in vico Abolimonte a Torre del Greco che permette di trovare nascosti nel guscio di gomma di un telecomando in cucina fogli pieni di cifre che indicano l’andamento delle piazze di spaccio e un quaderno nel portalettere all’ingresso che e’ il suo libro mastro da usuraio. Maurizio Garofalo finisce in carcere, ma dall’istituto di pena utilizza prima la moglie Franca Magliulo, poi l’amante (che diventa sua compagna nel frattempo), Raimonda Sorrentino, per continuare a gestire il clan. Attraverso dei “pizzini” consegnati alla compagna il boss del clan Falanga, Maurizio Garofalo, dal carcere, dava indicazioni ai suoi uomini su come suddividere i proventi delle attività illecite della cosca, attiva principalmente nel traffico di droga e nelle estorsioni. I soldi, è emerso ancora dall’attività investigativa, venivano utilizzati anche per pagare le cosiddette “mesate” (stipendi, ndr) agli affiliati in libertà e alle famiglie di quelli finiti in carcere.E, soprattutto, l’alleanza con Luigi Papale. Il 15 maggio, il giorno dopo il suo arresto, a Raimonda Sorrentino (che per il gip “assume un ruolo di primo piano nel clan”), affida un foglietto a righe scritto con grafia elementare per dirle di mettersi in contatto con “il padre di Emma”, cioe’ un suo fedelissimo indicato attraverso il nome della figlia, perche si continui a dividere i guadagni dello spaccio nell’area torrese “meta’ a mio zio (cioe’ Luigi Papale, ndr.) e meta’ al piccolo Manuel (cioe’ il figlio che lui e la Sorrentino hanno avuto, indicando cosi’ la quota da gestire per conto della cosca, ndr.). Una volonta’ ribadita il 20 maggio 2014 con un altro foglietto sempre alla donna: “il consuocero ti ha risolto? Meta a te e meta’ allo zio, cioe’ al genero. Se lo vedi digli che i patti rimangono gli stessi”.

 


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