Operazione Sarastra dall’antico nome della città di Scafati: si chiama così l’operazione che la sezione di Salerno della Direzione investigativa antimafia sta conducendo sui legami tra camorra e pubblica amministrazione della città di Scafati. Ed è nell’ambito di questa indagine che, oggi pomeriggio, il Tribunale del Riesame di Salerno ha disposto l’arresto del sindaco Pasquale Aliberti, decisione sospesa in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione. Insieme ad Aliberti dovrebbero finire in carcere – ma sono già detenuti – Gennaro e Luigi Ridosso, il figlio del pentito Romolo e suo cugino, figlio di Salvatore, ucciso nel 2002. Rigettato l’appello e dunque l’arresto per il fratello del sindaco, Nello Maurizio Aliberti, proposto dal sostituto procuratore della Dda Vincenzo Montemurro, dopo il diniego del giudice per le indagini preliminari Donatella Mancini per i quattro indagati. Il Riesame – presidente Gaetano Sgroia, a latere Giuliano Rulli, Dolores Zarone – ravvisa – così come aveva chiesto la Procura antimafia – nei confronti del sindaco Angelo Pasqualino Aliberti la corruzione elettorale, aggravata dal metodo mafioso in occasione delle elezioni amministrative del 2013, nonché viene ravvisato lo scambio elettorale politico-mafioso per le elezioni Regionali del 2015.
La corruzione elettorale è stata ravvisata anche per Gennaro Ridosso, ritenuto uno dei capi del sodalizio criminale predominante a Scafati nell’ultimo decennio, limitatamente alle elezioni del 2013, mentre il Riesame ritiene non vi siano i gravi indizi per le elezioni Regionali del 2015. Per Luigi Ridosso, in concorso con il sindaco Aliberti, invece, i giudici ritengono esistano i presupposti per l’arresto sia per la corruzione elettorale riqualificato nel reato di scambio di voto politico-mafioso, per le amministrative del 2013 e per le Regionali del 2015.
I giudici del Riesame, valutato l’appello del pm e le memorie difensive per i quattro indagati, ricostruiscono le vicende e affermano che ‘l’accordo del 2015 (quello relativo alle Regionale nelle quali è stata eletta Monica Paolino, ndr) pur essendo un nuovo accordo in quanto innestato su una nuova competizione elettorale, subisce inevitabilmente l’influsso e le modalità in cui si è evoluto il precedente patto, intercorso tra il sindaco e il clan”. Per i giudici l’accordo politico-mafioso non ha una interruzione temporale, insimma perché ‘la genesi e le caratteristiche dei due patti sono strettamente connessi’. E a chiarire questo concetto arrivano le dichiarazioni di Alfonso Loreto il quale, raccontando delle amministrative del 2013, sostiene che Pasquale Aliberti era consapevole del loro appoggio ‘perché voleva risalire (vincere di nuovo le elezioni, ndr) perché temeva di non farcela. E poi a proposito della candidatura di Andrea Ridosso, Loreto jr sostiene che Aliberti non accetto perché – disse al giovane figlio di Salvatore Ridosso – ‘se ti candido a te i giornali ‘m rann ‘nguollo e facciamo casino’. Secondo i giudici del Riesame Alfonso Loreto afferma cose importanti e cioè che ‘Aliberti voleva essere rieletto, ma era consapevole di avere una possibilità risicata a cagione dei numerosi contrasti che aveva avuto durante il primo mandato. “La proposta di Ridosso Andrea – scrivono i giudici – chiaramente lo alletta ed è proprio Aliberti che stabilisce i termini del patto. Chiede cioè che venga candidata una persona del gruppo politicamente sconosciuta (a zero voti), che la stessa venga eletta in modo da fargli comprendere la potenza del gruppo sul territorio e, se eletta, promette loro in cambio un appalto”. La ricostruzione storica di quanto accaduto in quelle fasi pre elettorali fatte dai giudici è impietosa. Impietosa anche quando citano le dichiarazioni di Raffaele Lupo, l’ideatore e il promotore della lista Grande Scafati, dove fu eletto Roberto Barchiesi il consigliere riferimento del clan. “Io ero ai domiciliari – ha raccontato l’ex consigliere provinciale e comunale Raffaele Lupo – non è che potevo fare la campagna elettorale, quella l’ha fatta luigi Ridosso, ha portato tantissimi voti insieme al fratello Andrea Ridosso, perché tutti i voti di Andrea Ridosso, degli amici di Andrea Ridosso, erano spostati su Barchiesi Roberto”.
Ma c’è un altro elemento che viene considerato dai giudici: l’acquisto dei voti nelle palazzine popolari di Mariconda, il quartiere generale del gruppo criminale. “sono stati comprati con pochissimi soldi – racconta Alfonso Loreto – Luigi Ridosso e Lupo Raffaele hanno speso tra i sei e i settemila euro pagando le persone più disagiate. Prima del voto”. E se qualcuno bluffava, era Luigi Ridosso jr a minacciare, lo racconta sempre Loreto. “Non mi hai votato? Allora sei nemico a me”.
E la prova del voto veniva fotografata come dimostrano le cinque foto di schede elettorali trovate nel cellulare di Andrea Ridosso. Barchiesi Roberto scritto sulla lista Grande Scafati e accanto la foto di una tessera elettorale intestata a tale Mario Pagano. Più prova di questo non potrebbe esserci per i giudici: “Questo dimostra che alcuni elettori hanno fotografato, all’interno dell’urna, la propria scheda elettorale con il voto di preferenza”. E poi aggiungono “Quando Loreto fa riferimento alle decisioni adottate da se, da Luigi Ridosso e da Gennaro Ridosso, in merito alla scelta di accettare la proposta del sindaco uscente Aliberti, di dare appoggio elettorale all’Aliberti nelle elezioni comunali del 2013, alla scelta della persona di famiglia da candidare, Loreto Alfonso fa chiaro e testuale riferimento al clan Ridosso/Loreto”. La prova del patto c’è. Ne sono convinti i giudici del Riesame, così come sostiene il pm. Un patto politico-mafioso.
I giudici stigmatizzano le conclusioni della difesa di Aliberti circa l’esiguità dei voti presi dal Barchiesi (265 preferenze, ndr). “Il numero dei voti ottenuti dal Barchiesi è consistente e significativo. Innanzitutto Barchiesi, per risultare vincente nella sua lista, è colui che ottiene più voti in assoluto di tutti i candidati in essa”. Un risultato non da poco che “la dice tutta sulla potenza e sull’influenza nel territorio del clan Ridosso/Loreto il quale riesce a veicolare 265 voti su una persona sconosciuta fornendo un apporto numerico consistente al sindaco Aliberti”. E poi Andrea Ridosso diventa il trait d’union tra il clan e il sindaco Aliberti, secondo il Tribunale del Riesame, una persona pulita con cui poter interagire evitando che emerga il rapporto diretto con il clan.
Anche la nomina di Ciro Petrucci nel consiglio di amministrazione dell’Acse – secondo i giudici – è frutto di un patto politico-mafioso. A confermare i legami con il gruppo criminale i numerosi contatti telefonici di Petrucci con Andrea e Luigi Ridosso.
Rosaria Federico