Torre Annunziata. “Chill Alfredo piglia ‘e sord” fu la frase chiave che spinse a chiedere e ottenere l’arresto Alfredo Carbutti, il Serpico del Nucleo operativo di Torre Annunziata, arrestato all’alba del 24 giugno del 2009 insieme a 28 affiliati del clan Gionta. Quel giorno segnò la fine di Serpico, conosciuto con il soprannome di ‘Vasco Rossi’. E quella frase, poi sparita dalle trascrizioni delle intercettazioni ambientali, nel regno dei Valentini, fu il nocciolo di un’assoluzione ottenuta in primo grado. ‘O castelluono, Alfredo Carbutti, il biondo dagli occhi azzurri, Castelluono perchè originario di Santa Maria di Castellabate in provincia di Salerno e tornato alle origini con una pensione anticipata in tasca, oggi è un uomo assolto. Sette anni per cancellare l’onta di aver favorito i boss di Palazzo Fienga in cambio di mazzette. Passando per una pesante condanna in Appello a cinque anni di reclusione. Ha affidato a Il Mattino, lo sfogo dell’uomo ‘rivendicato’ dalla giustizia. Le lacrime in udienza, le manette che cancellarono l’aria da ‘sbirro’ noto nella città martoriata dalla camorra ma anche nell’area vesuviana. L’assoluzione in primo grado fu impugnata dall’Antimafia dal pm Pierpaolo Filippelli, l’attuale aggiunto alla Procura di Torre Annunziata, all’epoca alla Dda di Napoli che nel corso del processo di primo grado ebbe parole durissime per il carabiniere colluso. E il processo di primo grado fu spazzato da una condanna a cinque anni di reclusione in Appello, il 5 giugno del 2015. Cinque anni e l’onta di aver favorito il clan. Ritornò quel giorno. Cinquantanove anni oggi, e una sentenza della Cassazione: assoluzione per non aver commesso i fatti. Una sentenza senza rinvio che Carbutti, ritornato alle origini, ‘sbirro dagli occhi di ghiaccio’, accoglie nella sua Castellabate: “È la fine di un incubo, è la fine di un incubo” dice al giornalista del Il Mattino che lo intervista. “Sono provato, ma felice perché E’ il suo avvocato Giuseppe Stellato, venerdì pomeriggio, a commentare un processo difficile nel quale hanno giocato tanti fattori, e non solo quelli giuridici. “C’è stata una lettura completamente errata di una conversazione telefonica, dove il mio assistito non c’entra nulla, e siamo riusciti a dimostrarlo. Per cui, questa sentenza della Corte Suprema di Cassazione, che annulla la precedente di condanna della Corte d’Appello, è estremamente importante perché chiude definitivamente un lungo calvario giudiziario per il mio assistito e rende giustizia e dignità ad un onesto servitore dello Stato” ha detto il legale che annuncia una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione.
Quella intercettazione fu la chiave di tutta la vicenda di cui è stato protagonista Alfredo Carbutti. Lo sapeva bene quel pm dell’antimafia che iniziò la sua requisitoria proprio da quello insieme ad una raccomandazione ai giudici – il presidente era Rosaria Maria Aufieri – a non far prevalere la strada ‘degli affetti e dei sentimenti’. Tutto si giocò sull’individuazione di Alfredo Carbutti.
La prova della collusione, secondo l’accusa, era quella conversazione dell’11 maggio 2007 registrata all’una di notte a casa di Gemma Donnarumma, in un contesto storico da guerra civile nel quale si era registrato il duplice omicidio De Angelis-Genovese, con la stretta delle forze dell’ordine in una città di fatto militarizzata. Il pm Filippelli, in quella lunghissima e tragica requisitoria, sottolineò una circostanza che nel corso del processo di primo grado fece cadere le accuse. La storia di un processo “Dalla trascrizione dell’intercettazione, incredibilmente, è sparita una frase chiave ‘chill Alfredo piglia ‘e sord’ e il perito traduce in italiano il dialetto torrese che è particolare, diverso dal napoletano” sostenne l’accusa. Dubbi sull’individuazione certa dell’appuntato dei carabinieri anche perchè ‘Vasco Rossi’ sostenne che il carabinieri di cui si parlava in quelle conversazioni non era lui ma un collega ‘o scurciato’, Antonio Paragallo, contro il quale la Dda stava acquisendo le dichiarazioni di una ‘spacciatrice’ del Piano Napoli che lo accusava di corruzione. Sono solo risvolti di un processo, durato sette anni, e che ora ha una sua verità giudiziaria. L’assoluzione del Serpico di Torre Annunziata. Alfredo Carbutti, il Vasco rossi, del Nucleo operativo degli anni della guerra di camorra. (rosaria federico)