Camorra, estorsioni tra Scafati, Pompei e Castellammare: chiesti 54 anni di carcere. Nei guai il consigliere comunale stabiese De Iulio

Salerno. Una ricostruzione lunga oltre un’ora e mezza, memoriali, dichiarazioni spontaneee e infine una sfilza di richieste di condanne. Si chiama clan Ridosso-Loreto e se le condanne dovessero arrivare sarebbe l’iscrizione dell’esistenza dell’organizzazione camorristica che ha operato dal 2002 ai nostri giorni a Scafati. Il finale della lunga ricostruzione del pm antimafia Giancarlo Russo è stato pesante: cinquantaquattro anni di reclusione per otto imputati. Associazione per delinquere, estorsioni, usura: tutti gli affari illeciti dell’organizzazione capeggiata da Romolo Ridosso dal 2002 fino al 2008 e successivamente dal figlio Gennaro e dal nipote Luigi jr e da Alfonso Loreto. Gli episodi contestati sono storia nota: usura a imprenditori e commercianti e poi estorsioni per costringerli a consegnare capitale e interessi. Ma anche estorsioni a commercianti per capi di abbigliamento oppure all’ingegnere Aurelio Voccia per l’affare parcheggi. Il giudice per le udienze preliminari, Emiliana Ascoli, dovrà giudicare gli otto imputati che hanno chiesto di essere con il rito abbreviato nel corso di un lunghissimo processo che si protrae ormai da giugno, tra colpi di scena e dichiarazioni di neo pentiti. Otto gli esponenti del clan che rischiano una pesantissima condanna. In primis Alfonso Morello, sodale del gruppo al quale era affidato l’affare usura. Morello, titolare di un bar fino a qualche anno fa, già noto alla giustizia, è accusato di essere organico al clan Ridosso-Loreto e di aver gestito il business. Undici anni la richiesta per l’imputato difeso da Antonio Boffa, sulla pena pesa la recidiva. Mano pesante anche per Gennaro Ridosso e per il cugino Luigi, gli irriducibili, che avrebbero prima coadiuvato il padre-zio, Romolo Ridosso nella gestione della cosca e poi Alfonso Loreto. Per i due il pm Giancarlo Russo ha chiesto dieci anni di reclusione. Una batosta che i due hanno cercato di rintuzzare presentando un memoriale difensivo e affidando a delle dichiarazioni spontanee un accenno di difesa. “Non sapevo niente del clan – ha sostenuto Luigi jr in aula – io guidavo solo l’auto di Alfonso Loreto, perché lui non sapeva guidare quella automatica”. E poi a proposito dell’estorsione all’Aipa e all’ingegnere Aurelio Voccia De Felice: “Noi cercavamo solo lavoro, io solo per quello ho incontrato Voccia”. Un lavoro, costato alla società che gestiva le aree parcheggio, 50mila euro ‘cache’. Ma nella requisitoria, conclusasi nel tardo pomeriggio al Tribunale di Salerno, l’antimafia ha anche riconosciuto il ruolo decisivo de pentimento di Alfonso Loreto per il quale il pm Russo ha chiesto 5 anni e mezzo di reclusione. Alfonsino, figlio di Pasquale, una tradizione di pentitismo è stato il primo a decidere di collaborare con la giustizia a febbraio scorso. Era in carcere per effetto di quell’ordinanza di custodia cautelare emessa a settembre dall’antimafia. Proprio quelle accuse ora sono al vaglio del Gup Ascoli. Riconosciuto attraverso una richiesta di pena ‘mite’ anche il contributo collaborativo dell’altro capo del gruppo criminale, Romolo Ridosso, alias romoletto, decisosi a collaborare dopo l’arresto forzato avallato dalla Cassazione. Per Romolo l’antimafia chiede una pena di sei anni di reclusione e il riconoscimento dei benefici riconosciuti ai pentiti. Nelle richieste di condanna del pm seguono quelle dei gregari: tre anni e sei mesi per Giuseppe Morello, fratello di Alfonso, concorrente nel reato di usura. Più pesanti le richieste per Massimiliano De Iulio, imprenditore e consigliere comunale a Castellammare di Stabia e per Carmine Di Vuolo, anch’egli stabiese, accusati di estorsione ai danni di alcune vittime di usura per conto di Romolo Ridosso. I due amici di Romoletto Ridosso rischiano quattro anni e sei mesi di reclusione ciascuno.
Ma nel processo che si sta celebrando a Salerno c’è anche chi non ha voluto chiedere il rito abbreviato come Pasquale Loreto, il boss poi pentito, poi ridiventato boss e poi ripentitosi. Insomma quel Pasquale Loreto, ex esponente di spicco del clan Alfieri che all’inizio degli anni ’90 aderì al fenomeno del pentitismo, aveva ricominciato la vita che aveva lasciato con l’inserimento nel programma di protezione. Lui il capo che sovrintendeva alle azioni del figlio e degli altri rampanti aspiranti boss, che riceveva parte dei proventi delle estorsioni e di tanto in tanto tornava a Scafati per farsi portare al suo cospetto gli imprenditori reticenti a pagare, ha deciso di seguire l’iter ordinario del processo. Il Gup Emiliana Ascoli dovrà sciogliere la riserva anche sul rinvio a giudizio per Antonio Palma di Boscoreale; Francesco Sorrentino, alias Ciccio ’o campagnuolo, di Scafati; Luigi e Salvatore Ridosso di Romolo e Antonio Romano di Pompei. La parola ora passa alla difesa e agli avvocati Luigi Ferrone, Antonio Di Micco, Giovanni Conte, Antonio Boffa, Elio D’Aquino, Antonio De Martino, Pierluigi Spadafora, Michele Sarno, Luisa Nastri, Pasquale Morra. (rosaria federico)


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