Camorra, “Paranza dei Bimbi”: minacce in aula al pm dopo la sentenza

Minacce e insulti sono stati rivolti da diversi imputati all’indirizzo del pm della DDA Henry John Woodcock dalle gabbie dell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale a conclusione del processo contro presunti esponenti del clan camorristico Sibillo del rione Forcella di Napoli. L’episodio è avvenuto subito dopo che il giudice Paola Piccirillo ha letto il dispositivo della sentenza che ha condannato 15 imputati a pene varianti dai 14 ai 6 anni di reclusione per traffico e spaccio.Il pm Woodcock, insieme con il collega della DDA Francesco De Falco, ha condotto l’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio e alla condanna degli imputati, e ha svolto anche l’indagine sulla cosiddetta “paranza dei bambini”, un gruppo di giovanissimi camorristi attivi nel centro storico di Napoli che pure è approdata, nei mesi scorsi, a numerose condanne. Della ‘paranza dei bambini’ si occupa anche l’ultimo libro di Roberto Saviano.  “Nessun peso ho dato alle frasi pronunciate nei miei confronti dagli imputati: si tratta di una comprensibile reazione di persone a cui sono state appena inflitte severe condanne”. Così il pm della Direzione Distrettuale Antimafia di NAPOLI, Henry John Woodcock, ha commentato le minacce che gli sono state rivolte oggi da alcuni imputati ritenuti affiliati a un clan della camorra, dopo la lettura nell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale della sentenza che li ha condannati.

 La sentenza è stata emessa nell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale al termine di un processo con rito abbreviato. Il baby boss Pasquale Sibillo che è stato condannato 10 anni di reclusione, venne arrestato dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli il 21 novembre del 2015, a Terni, dopo una latitanza di oltre cinque mesi (era ricercato dal 9 giugno), mentre era in auto in compagnia di un suo parente. Gli investigatori riuscirono a rintracciarlo dopo avere fatto uno screening completo della sua parentela, successivamente messa sotto controllo. Fu identificato grazie al tatuaggio – un poker d’assi con un joker dal sorriso beffardo – che si era fatto fare su un braccio. Per rendersi irriconoscibile e sfuggire alle forze dell’ordine, infatti, era dimagrito e si era tagliato barba e capelli. Pasquale Sibillo è ritenuto uno dei protagonisti della violenta faida scoppiata tra la fine di giugno e gli inizi di agosto del 2015, nel rione Forcella e nelle zone circostanti, con diversi omicidi commessi per aggiudicarsi il controllo delle attività illecite nel centro di Napoli. Il fratello, Emanuele, che con lui guidava l’omonimo gruppo camorristico, venne ucciso in un agguato il 2 luglio del 2015, verosimilmente per dare un segnale proprio a Pasquale. Fu proprio lui a portare Emanuele, in fin di vita, in ospedale. Il 31 luglio, come risposta all’omicidio di Emanuele, venne ucciso Salvatore D’Alpino e Luigi Galletta. Pasquale Sibillo, con numerosi giovani del suo gruppo, è stato già condannato nell’ambito del processo sulla “paranza dei bambini” (pm Henry John Woodcock e Francesco De Falco della DDA di NAPOLI) lo scorso giugno: 43 condanne con pene comprese tra 2 e 20 anni di reclusione e dieci assoluzioni. A Pasquale Sibillo vennero inflitti 16 anni di carcere. Tra gli assolti figurarono Ciro, Antonietta e Luigi Giuliano, detto “zecchetella”. Condannato anche il padre di Lino Sibillo , Vincenzo, a 12 anni di carcere, e Alessandro Riccio, ritenuto elemento di spicco dei Sibillo, a cui è stato già comminato un ergastolo: a lui è stata inflitta una pena di 14 anni e 4 mesi di reclusione. Condannato anche Salvatore Cedola a 10 anni di carcere, i fratelli Alessandro, Gennaro e Ilario, rispettivamente a 14, 12 e 7 anni di carcere. Il giudice ha accolto le richieste avanzate dai sostituti procuratori della Repubblica di Napoli, John Henry Woodcock e Francesco De Falco. A restanti imputati – complessivamente 15 – sono state comminate pene variabili tra 6 e 14 anni.

Fu la moglie di Massimiliano Di Franco, ucciso a Napoli in un agguato scattato il 26 febbraio 2014, ad incastrare il killer di suo marito, abbattendo un muro di omertà fino al quel momento rimasto invalicabile: fu lei, infatti, a rivolgere un’ultima domanda al consorte prima che morisse, a chiedergli chi gli avesse sparato. E lei, con enorme coraggio, dopo avere appreso la verità dal suo uomo, lo rivelò agli inquirenti consentendo l’arresto e la condanna di Alessandro Riccio che, malgrado i suoi 25 anni, era già ritenuto un elemento di spicco del gruppo camorristico Sibillo del rione Forcella di Napoli. Oggi, Riccio, è stato condannato a 14 anni e 4 mesi per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Una condanna che si aggiunge all’ergastolo preso per quell’omicidio deciso perché Di Franco, allontanatosi dalla criminalità organizzata, si era rifiutato di gestire una piazza di spaccio per conto dei Sibillo. La condanna – insieme con quelle di altri 14 imputati, tra i quali figura anche il boss Pasquale Sibillo – è giunta al termine di un processo con rito abbreviato celebrato nell’aula bunker del carcere di Poggioreale dove si sono vissuti anche momenti di tensione, con un gruppo di imputati che ha rivolto pesanti ingiurie e minacce al pm Henry John Woodcock. Per l’omicidio di Di Franco Riccio è stato condannato all’ergastolo la fine dello scorso mese di giugno.

 


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