Cosentino condannato a 9 anni di carcere per concorso esterno con la camorra

Con le sue 141 udienze e gli oltre cinque anni di durata, il processo a Nicola Cosentino è stato, tra quelli con un unico imputato e un’unica imputazione, tra i più lunghi della storia giudiziaria italiana. Oggi l’epilogo, in primo grado, con la condanna dell’ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore campano del Pdl a nove anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione camorristica. Il collegio del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – presieduto da Giampaolo Guglielmo (a latere Rosaria Dello Stritto e Pasquale D’Angelo) – ha escluso l’ipotesi del riciclaggio, concernente il presunto cambio da parte di Cosentino degli assegni bancari consegnatigli da emissari del clan; l’ipotesi era ricompresa in quella principale di concorso esterno. Al termine dell’udienza, mentre il pm Alessandro Milita, visibilmente sollevato, ha spiegato che “questo è tra i processi più importanti per la Dda”, l’avvocato di Cosentino, Agostino De Caro, ha invece affermato polemicamente che “questo è tra i processi in cui si è giudicato un fenomeno; i fatti penalmente rilevanti non sono emersi”. La Dda di Napoli ha individuato nell’ex sottosegretario all’Economia del Pdl il “referente politico nazionale del clan dei Casalesi”, colui che dal 1980 fin quasi ai giorni nostri avrebbe stretto un patto di ferro con i capi del clan per ottenere i voti alle varie elezioni fornendo in cambio un contributo stabile alle cosche; Milita ha parlato di una “disponibilità omnibus” di Cosentino, ovvero duratura e aperta ad ogni tipo di favore. L’accusa, dunque, si basava sul presunto patto politico-mafioso tra Cosentino e il clan, peraltro mai dimostrato nella sua genesi in quanto i capiclan, da Schiavone a Bidognetti passando per Zagaria, non sono mai stati sentiti; non è stato ascoltato neanche Antonio Iovine, unico tra i boss ad essersi pentito. Di contro, alcuni dei circa 20 collaboratori ascoltati, come Dario De Simone e Domenico Frascogna, hanno confermato il sostegno elettorale del clan, ma nessuno ha indicato con precisione le elezioni in cui l’appoggio sarebbe avvenuto. La difesa ha spiegato che Cosentino, alle Politiche, si è sempre candidato in un collegio dell’Alto Casertano, che non comprendeva dunque il suo comune di nascita di Casal di Principe. La “seconda gamba” dell’accusa è quella dei favori fatti in cambio da Cosentino al clan: il più significativo è l’appalto vinto alla fine del 1999 dai fratelli Sergio e Michele Orsi, ritenuti da una sentenza passata in giudicato come imprenditori vicini al clan Bidognetti. La gara è quella indetta dal Ce4, consorzio che riuniva 20 Comuni del Casertano e si occupava del ciclo integrato dei rifiuti; per l’accusa fu Cosentino il regista dell’accordo che permise agli Orsi di divenire soci del Ce4, creando la società mista Eco4 che ottenne poi dai Comuni consorziati affidamenti diretti per il servizio di raccolta dell’immondizia.

 

“E’ una sentenza che non mi convince. La valuteremo. Sono convinto che Cosentino non abbia commesso il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, aspettiamo le motivazioni”. Così l’ avvocato Agostino De Caro, uno dei difensori di Nicola Cosentino, dopo la condanna dell’ex sottosegretario ed ex coordinatore del Pdl campano a nove anni di reclusione. Per il pm Alessandro Milita, la sentenza “rende merito al grande lavoro della Dda, sia dei colleghi attualmente in servizio sia da quelli che iniziarono l’inchiesta”. La sentenza, gli hanno chiesto i cronisti, getta un’ombra sulla politica casertana? “E’ riduttivo dire un’ombra”, è stata la risposta del pm. Circa un’ora prima della lettura della sentenza Cosentino ha lasciato l’aula per tornare nell’abitazione di Venafro (Isernia) dove si trova agli arresti domiciliari.

“La sentenza da’ grande merito al lavoro svolto da tutti i colleghi della Dda di Napoli, quelli in servizio e quelli non”. Cosi’ il pm Alessandro Milita subito dopo la lettura della sentenza di condanna per Nicola Cosentino. Milita, che in aula ha sostenuto le tesi della procura, alla domanda dei giornalisti su quali ombre questa sentenza getti sulla politica casertana, ha risposto in modo netto: “Dire ombre e’ riduttivo”.


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