“L’ho urlato dal primo momento, da quel terribile istante quando siamo arrivati in ospedale e ci hanno detto che nostra madre era morta, ho urlato ‘l’ha uccisa lui’ e non ho mai smesso di ripeterlo: ora finalmente forse uscirà la verità”. Il dolore per quello che ha vissuto non si è mai spento, per Nunzia Piccolomo, dal 2003, quando la madre morì a 48 anni, carbonizzata, in quello che sembrava un incidente stradale, a Caravate nel varesotto. Un dolore anche pieno di rabbia perchè in tutto questo tempo nessuno è mai riuscito a distogliere lei e la sorella dalla certezza che ad uccidere la mamma sia stato il padre. Ma dopo due inchieste sfumate nell’archiviazione, la terza, aperta 2 anni fa dal Pm Carmen Manfredda, è stata chiusa con la notifica della chiusura delle indagini ai legali dell’uomo. Dunque, a quasi 13 anni dal decesso della prima moglie, Marisa Maldera, rischia di essere rinviato a giudizio per omicidio Giuseppe Piccolomo, il 65enne che si porta dietro il soprannome di ‘omicida delle mani mozzate’ perché condannato all’ergastolo per l’uccisione della pensionata Carla Molinari, alla quale vennero tagliate le mani, il 5 novembre del 2009, a Cocquio Trevisago nel varesotto. Per la morte della moglie Piccolomo ha già sulle spalle una condanna, un patteggiamento di un anno e 4 mesi per omicidio colposo. Era infatti alla guida dell’auto che uscendo di strada prese fuoco perchè all’interno c’era una tanica di benzina. Lui uscì in tempo, la moglie no. “Non ci ho mai creduto, noi sorelle non ci abbiamo mai creduto – dice oggi la figlia Nunzia – Io so bene cosa accadeva in casa nei tre mesi precedenti, sono stata la prima ad accorgermi che mio padre si era invaghito della lavapiatti del nostro ristorante, e lo dissi anche a mia madre, ma lei all’inizio lo difendeva addirittura”. Quella ragazza, di origini marocchine, è poi diventata la seconda moglie di Piccolomo e dal matrimonio sono nati altri due figli. Nel 2011 l’uomo viene condannato all’ergastolo per l’omicidio Molinari (inchiesta coordinata sempre dal pm Manfredda) e le figlie tornano a chiedere con forza la riapertura delle indagini sulla morte della madre. Il pubblico ministero Manfredda decide di andare più a fondo: secondo la sua ipotesi Piccolomo avrebbe somministrato della benzodiapezina alla moglie, poi l’avrebbe portata con l’auto in un posto isolato dando fuoco alla vettura. “Se non ci sono elementi nuovi non credo che su queste basi si possa aprire un processo”, afferma però il legale di Piccolomo, Stefano Bruno. “Le tracce della sostanza erano emerse subito nella prima perizia, ma in quantità tale da essere irrilevanti: dovrebbe quindi essere dimostrato non solo che la signora era in condizioni da non poter uscire dalla vettura, ma dovrebbe anche spuntare fuori un testimone che dopo 13 anni afferma di aver visto Piccolomo cospargere la vettura di benzina”.