Erano senza fondamento gli arresti degli imprenditori e commercialisti napoletani arrestati nel mese di settembre su richiesta della Dda di Napoli per presunti legami con il clan Polverino e l’imprenditore Carlo Simeoli. Secono le motivazioni del tribunale del Riesame che fece scarcerare i professionisti dopo dieci non c’era alcun riscontro a proposito della consapevolezza della presunta mafiosità di Carlo Simeoli. In carcere erano finiti il commercialista Giovanni De Vita e il manager Roberto Imperatrice, (uno dei fondatori del marchio Rossopomodoro, società estranea all’inchiesta) e agli arresti domiciliari i fratelli di De Vita, Luca e Andrea, e il docente universitario Raffaele Iovine. Oltre a Carlo Simeoli, 52enne imprenditore edile facente parte dell’omonimo gruppo imprenditoriale di Marano che è il genero di Angelo Simeoli, 74enne detto “bastone”, esponente di spicco del clan Polverino.
Il Riesame, come riporta Il Mattino, spiega percé i professionisti napoletani non andavano arrestati. In primo luogo Imperatrice era iscritto alla Federazione antiracket di Tano Grasso, era stato anche controllato da esponenti delle forze dell’ordine. E c’è dell’altro: il giorno dell’inaugurazione del cantiere al Vomero, in via Belvedere (anno 2010, il sogno di campi da tennis e di box auto), c’era il mondo che conta, tra magistrati in carriera, esponenti delle forze dell’ordine e della polizia giudiziaria, sportivi di fama. E non è ancora finita. A leggere la prosa dei giudici, a scagionare gli indagati c’è anche un’intercettazione che non era stata tenuta in considerazione dagli inquirenti, recuperata dalla difesa tra le tante conversazioni «non rilevanti» e valorizzata dai giudici a favore degli indagati, revocati anche i sequestri. Secondo il Riesame quindi “non emerge la consapevolezza degli stessi in merito alla appartenenza criminale di Carlo Simeoli, il quale formalmente aveva fatto ricorso al credito bancario, aveva ottenuto la certificazione antimafia (basta confrontare la iscrizione alla Associazione antiracket imprese edili per la legalità del sette luglio del 2010), ed era evidentemente considerato affidabile anche dalle autorità di polizia e giudiziarie, dal momento che alla manifestazione di propaganda del centro sportivo avevano partecipato anche diverse autorità ”. Una vicenda controversa, un caso giudiziario rimasto per settimane al centro dell’attenzione mediatica. Arrestati, dieci giorni in carcere, poi scarcerati dal Riesame. E con tante scuse, sembra di capire. Tanto che sono ancora i giudici (presidente Oriente Capozzi, Maria Grassi e Daniela Cortucci) a sottolineare l’importanza di una intercettazione che, secondo la loro ricostruzione, non era stata valorizzata durante l’elaborazione della richiesta di arresto. Agosto del 2013, i principali indagati di questa vicenda si mostrano sorpresi e sconcertati per le prime avvisaglie di indagine che riguardavano Carlo Simioli, stati d’animo che contraddicono l’idea di un accordo iniziale per reimpiegare denaro sporco. Scrive il Riesame: “Emerge la buona fede di Imperatrice che riteneva che Simioli fosse completamente estraneo all’ambiente camorristico, come comprovato anche dalla certificazione antimafia richiesta e ottenuta”.