Scafati. “Robè o ti dai una mossa oppure ti dimetti e fai salire Umbeè … perché Umberto Di Lallo non era ancora morto” è l’imposizione di Alfonso Loreto a Roberto Barchiesi, eletto con i voti della camorra nella lista Grande Scafati alle amministrative del 2013. La ricostruzione storica delle pressioni del clan sulla pubblica amministrazione di Scafati e i ‘cedimenti’ dei politici, obbligati a rispettare dei patti di scambio mafioso-politico, è agghiacciante e ormai è storia giudiziaria ma anche sociale di una città che è ad un passo dalla dèbacle politico-giudiziaria. A dover decidere sull’arresto del sindaco di Scafati, Angelo Pasqualino Aliberti, di Gennaro e Luigi Ridosso sarà la Cassazione, ma da questa inchiesta emerge uno spaccato di ‘mala politica’ agghiacciante. Professato in nome del potere, quello politico, ma anche camorristico. ‘Robè datti una mossa oppure dimettiti’: il clan Loreto-Ridosso chiede di pagare il conto. E quel conto non si può non pagare. Perchè in un ambito criminale la ‘parola’ data va rispettata. Barchiesi, il consigliere comunale di maggioranza, risponde – rivela il pentito Alfonso Loreto – “No mo ci vado a litigare per l’amor del cielo ce l’adda rà qualcosa”. ‘Ce l’adda rà qualcosa’ era un appalto come se la res pubblica fosse qualcosa di personale o di partitico da parte di un sindaco o di un consigliere investito di una carica pubblica attraverso il voto. Impietoso spaccato di una vita amministrativa, quella del sindacato Aliberti, dove i patti pre elettorali, gli accordi per vincere a tutti i costi si ripagano con un bene pubblico, un appalto, un incarico. Quel ‘do ut des’ ‘censurato’ dai giudici del Tribunale del Riesame nell’ambito della diaspora giudiziaria per l’arresto di Angelo Pasqualino Aliberti, il sindaco di Scafati. Quel ‘qualcosa’, in quella fase fu una promessa: “Barchiesi si presenta dopo sette otto giorni – racconta Alfonso Loreto – pressioni, chiamate e dice ‘o sindaco ha deciso ci vuole dare la gestione del verde’”. Il verde era il verde pubblico affidato a una impresa, apparentemente, pulita ma dietro la quale c’erano sempre loro i ‘ragazzi’ del gruppo Ridosso-Loreto. “La gestione del verde a Scafati che parlavamo di 12/13mila euro di guadagno l’anno – racconta Loreto – e diciett ma noi simm nove di noi, fra me Romolo, tutti quanti chill ro gruppo e tu qualcosa avè, diciett come io voglio pure una parte dieciett Barchiesi Roberto, e con 13mila euro facimm 350 euro ciascuno, quindi penso che non va bene più, diciett va dal sindaco e fatti dare qualcosa di grosso. ‘o sindaco addà finì se no tu sai che a fa … ti devi dimettere”. Roberto Barchiesi diventa la chiave di volta, per il clan Loreto-Ridosso, tiene in pugno il sindaco che ha una maggioranza risicata e il ricatto politico diventa pressione per ottenere quello che il clan voleva. “Ma Barchiesi aveva preso la vita politica come hobby e ‘ci scaricò'” scrivono i giudici del Riesame analizzando le vicende politico-malavitose di Scafati. Quello che accadde dopo è qualcosa di noto. Barchiesi si dimise, pressato dal clan, salvo poi ritornare a sedere in consiglio comunale attraverso un ricorso al Tar per aver protocollato dimissioni ‘sbagliate’. Nel frattempo, il consigliere di Grande Scafati viene picchiato da due ‘amici’ del clan perchè ha ‘preso per culo Luigi (Ridosso, ndr)” perchè ‘a genta a prumis qualcosa, qualche posto perchè giustamente se noi (il clan, ndr) avevamo un grande appalto e volevamo assumere dieci.. le persone che ci avevano votato …. Luigi lo stanno pressando … ha fatto brutta figura”. Alfonso Loreto rivendica il suo ‘impegno’ in campagna elettorale e il fatto che Luigi Ridosso jr, figlio di Salvatore ucciso in un agguato camorristico, nuovo giovane ‘boss’ di Scafati, non può fare brutta figura per colpa di un politico ‘hobbista’ che – secondo il collaboratore di giustizia Alfonso Loreto – sta facendo il doppio gioco.
Rosaria Federico
(nella foto da sinistra il boss pentito Alfonso Loreto, il consigliere comunale Roberto Barchiesi e il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti)