Scafati. L’asso lo ha calato alla fine delle arringhe difensive e della lunghissima difesa personale del sindaco Pasquale Aliberti che da ‘provato’ politico ha reso dichiarazioni spontanee. Quell’asso è arrivato dalla Procura Antimafia ed è una prova sulla quale nessuno può dubitare: la famiglia Ridosso ha votato per il sindaco Pasquale Aliberti alle amministrative del 2013 e per il consigliere designato dal clan. Se lo sono provati da soli, quelli del clan, e lo hanno provato, probabilmente, allo stesso sindaco i componenti della famiglia Ridosso. Il sostituto procuratore Vincenzo Montemurro ha depositato stamattina una foto che è ‘prova’ del voto per Aliberti. Una foto che ritrae la scheda elettorale e le preferenze, ritrovata nel computer di Andrea Ridosso, figlio di Salvatore, colui che avrebbe voluto candidarsi al consiglio comunale e al quale fu preferito Roberto Barchiesi per colpa del suo cognome. Quella foto è l’asso nella manica della Procura per dimostrare l’esistenza dello scambio di voto, reato per il quale c’è la richiesta di arresto per il sindaco Pasquale Aliberti, per il fratello Nello Maurizio Aliberti, Luigi Ridosso jr e Gennaro Ridosso. A decidere sull’appello dell’antimafia, dopo il rigetto del gip Donatella Mancini, sarà il Tribunale del Riesame davanti al quale stamattina si sono presentati accusa e indagati. Ma questo avverrà nei prossimi giorni Un Tribunale (Presidente Sgroia, a latere Rulli, Zarone) che, vista la vicenda così rilevante e spinosa che si gioca molto su alti profili giuridici relativi al reato di associazione per delinquere esterna e scambio politico mafioso – tanto dibattuto nelle sedi giudiziarie italiane – si è riservato di decidere. Ci sarà un lungo lavoro di approfondimento e di incrocio delle prove portate dalla Procura con le corpose memorie difensive depositate dagli avvocati degli indagati che hanno a lungo parlato per i propri assistiti.
Udienza fiume, quella di stamattina, iniziata poco dopo le 9,30 e finita poco prima delle 13. Con il primo cittadino – l’indagato eccellente di questo procedimento – arrivato con il suo avvocato nell’aula al piano terra del palazzo di giustizia di Salerno. Completo grigio, impeccabile, pronto a sfoderare personalmente la sua difesa di uomo politico e ‘sindaco contro il malaffare’. Questo ha sostenuto durante quei lunghi minuti quando ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee. “Non ho mai avuto legami con la camorra, sono un sindaco contro la criminalità, ho tolto terreni e case ai camorristi, al clan Matrone”. Un clan Matrone che non è quello dei Ridosso. Sostengono tutt’altro coloro che si sono autoaccusati di essere camorristi come Alfonso Loreto, Romolo Ridosso. Sostengono il contrario testi chiave per l’accusa come l’ex consigliere Raffaele Lupo, l’imprenditore Nello Longobardi e lo stesso ‘involontario’ Andrea Ridosso, figlio di Salvatore ‘piscitiello’, ucciso nel 2002, e fratello di Romolo. Lo sostengono questi testimoni non per le azioni messe in atto, per dovere politico, dal primo cittadino nel corso dei due mandati che si sono succeduti e iniziati nel 2008, ma per i patti che Pasquale Aliberti ha fatto con la famiglia che tentava l’ascesa criminale nella pubblica amministrazione a partire dal 2013 con la decisione di candidare propri uomini al consiglio comunale e inserirsi nel magma degli appalti pubblici.
Quel ‘do ut des’ che configura lo scambio politico mafioso, anche se l’organizzazione criminale non era ancora affermata dal punto di vista giudiziario come un clan, per la Procura antimafia esiste. Esiste la promessa.
“Ho tolto i terreni al clan Matrone’ ha sottolineato Pasquale Aliberti, come se stesse tenendo uno di quei discorsi elettorali che in questi anni ha tenuto tante volte davanti ai cittadini scafatesi. Sui palchi della politica di famiglia. L’enfasi del politico, tradotto in una difesa giudiziaria, snocciolando il suo ‘fare’ politico. Prima di Aliberti avevano voluto rendere brevi dichiarazioni spontanee anche Luigi jr Ridosso, figlio di Salvatore e fratello di Andrea, quest’ultimo il giovane laureato dal nome ingombrante che Aliberti non volle nella lista ‘Grande Scafati’, organizzata dall’ex consigliere Raffaele Lupo, l’amico del clan. Luigi jr Ridosso, difeso dall’avvocato Michele Sarno, ha sottolineato di non aver mai avuto a che fare con il sindaco Aliberti. Forse di non averlo mai incontrato. Il suo difensore si è invece soffermato sugli aspetti giuridici del 416 ter e sui profili per i quali il suo assistito non dovrebbe essere arrestato. Dichiarazioni spontenee anche per Gennaro Ridosso, ritenuto uno dei capi dell’organizzazione e figlio di Romoletto Ridosso, il pentito. Le accuse ce le ha in casa. Gennaro Ridosso le subisce dal padre e dal suo amico fraterno, Alfonso Loreto. “Paghiamo per il cognome che portiamo” ha sostenuto come a voler sottolineare di essere perseguitato dalla magistratura per un ‘vizio’ primordiale. Vizio primordiale che è vizio attuale, moderno, per la Procura. La difesa di Gennaro Ridosso, rappresentata dall’avvocato Pierluigi Spadafora, ha depositato una lunga memoria difensiva per scardinare quegli elementi alla base della richeista di arresto.
Così come le difese degli altri imputati, comprese quelle di Pasquale e Nello Maurizio Aliberti, il sindaco e l’imprenditore, i fratelli della politica. L’uomo il volto del politico, l’altro il braccio operativo della macchina dei voti e dei rapporti pericolosi, secondo la Procura Antimafia. Ci prova la difesa dei due a dimostrare l’inattendibilità dei pentiti, puntualizzando le contraddizioni. Romolo Ridosso mente, sostengono, perché Monica Paolino non era candidata a S. Maria la Carità e a Caserta, dove – sostiene il collaboratore – ha fatto valere il suo peso criminale per raccattare voti. Ma poco conta per la Procura Antimafia tutto questo rispetto all’interessamento di un gruppo criminale che – parimenti ai politici – aveva interessi nei paesi limitrofi e non in virtù di quell’intreccio di conoscenze e di interessi economici che si riunivano a Scafati e intorno ad un consigliere Regionale, la moglie di Pasquale Aliberti, che avrebbe avuto influenze politiche in tutta la Campania. Per Monica, la ‘femme prodige’ della politica campana, in consiglio regionale per due legislature (la prima per ironia della sorte al posto di Alberico Gambino arrestato per scambio di voto politico-mafioso), eletta nel collegio di Scafati nelle elezioni del 2015, presidente della commissione Antimafia fino a settembre dello scorso anno, non c’è nessuna richiesta di arresto. Pur avendo beneficiato dei voti del clan che ha organizzato anche delle riunioni elettorali a casa della sorella di Romolo Ridosso, Monica è rimasta ‘femme prodige’, moglie di Pasquale Aliberti e da lui avviata ai voti e alla politica in Forza Italia.
Lo sostiene il pm Vincenzo Montemurro che a conclusione dell’udienza fiume di stamattina ha ribadito con fermezza la richiesta di arresto per i quattro indagati, sostenendo l’attualità della pericolosità della condotta del sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, di suo fratello e dei due giovani rampolli del clan Ridosso.
Una battaglia durissima, di nervi, ora attende gli indagati. Un accurato studio giuridico e giudiziario attende i giudici del Riesame. Aliberti non rischia il carcere per la loro decisione. Lo rischia, eventualmente venisse accolto l’appello della Procura, in virtù di una decisione della Cassazione. Ma di questo si parlerà poi.
Rosaria Federico