S. ha grandi occhi neri. Pieni di paura, occhi che guardano per… capire. Per capire se può fidarsi. S. è una ragazzina di 15 anni che a giugno è stata violentata da cinque coetanei. A turno. In un garage di San Valentino Torio. Li hanno chiamati i ragazzi del branco. Lei non li chiama mai. Oggi, il 6 dicembre del 2016, quei ragazzi hanno affrontato il processo davanti ai giudici del Tribunale per i minorenni. Si sono ‘scontrati’ con la giustizia dopo aver violentato una coetanea e aver passato sei mesi in carcere e in Comunità. Quella giustizia, lo ‘Stato’ come lo chiama S. ha deciso che i ragazzi del branco verranno ‘messi alla prova’. Seguiranno un programma di riabilitazione che – qualora funzionasse – estinguerà il processo per violenza sessuale, sequestro di persona, lesioni. Cancellerà quel giorno, quel maledetto 23 giugno 2016. E quel garage di San Valentino.
S. è una ragazzina che non ti aspetti mai, che cerca di ritrovare la sua normalità di adolescente e che vuole essere semplicemente se stessa. Lei è ‘messa alla prova ogni giorno’. Un’adolescente come tante altre, ma che la vita ha voluto fosse diversa. Risponde a monosillabi. Ha i suoi sogni da condividere. E far comprendere come sia difficile ricominciare, in un paese dove ci si scontra con l’essere colpevolizzato per quello che ti hanno inflitto gli altri. La violenza. In un paese dove la vittima diventa colpevole. Il ‘dopo’ di S. è una città difficile. La sua storia è lacerante, una ferita aperta sulla quotidianità. Il presente di S. comincia dal vivere quotidiano e dal ritorno a scuola e si scontra con il passato. In ogni istante. Anche nelle piccole cose. Il passato che non si cancella mai. Quel passato è messo alla prova ogni maledetto giorno. Il presente di S. sono poche amiche e poche lacrime. E la voglia di ricominciare a 15 anni. In un paese diverso lontano da Sarno, da quel garage di San Valentino dove per oltre un’ora è stata violentata a turno. Lei vuole vivere, là dove potrà nascondersi dall’orrore per non incontrare mai per strada quei cinque ragazzi che l’hanno violentata in un garage. Quella maledetta domenica sera.
La storia di S. non è come quella delle adolescenti della sua età. E’ diversa. Occhi neri per guardare un mondo diverso. E la forza di ricominciare. La speranza di avere uno ‘Stato’ che si accorga di lei dei sentimenti che prova. S. racconta il suo quotidiano con una voce da bambina e la scorza dura di chi ha già vissuto quasi tutto. Di chi sa che la parola ‘femminicidio’ lei l’ha vissuta nel modo più brutale. Oggi, quei coetanei che le hanno marchiato a fuoco quella parola sulla pelle sono ‘messi alla prova’. Lei la ‘prova’ la vivrà per tutta la vita, cercando di vivere un futuro normale senza dimenticare, ma imparando a farsi amare per quello che ha dentro.
S. parla della sua vita, nello studio degli avvocati Alessandro Laudisio e Fabio Carusone che l’assistono, dopo quel 23 giugno. Racconta del suo ritorno alla normalità difficile di una 15enne vittima di violenza. Dell’amicizia, dell’amore per la sua famiglia, dei suoi sogni di adolescente. Sogni da vivere in una terra diversa da quella che è il suo incubo quotidiano.
Com’è stato il primo giorno di scuola? Me lo racconti?
“Il primo giorno di scuola è stato più difficile rapportarmi con gli altri. Con le mie amiche era tutto normale, ma gli altri mi guardavano con occhi diversi”.
Cosa ti ha colpito, cosa c’era di diverso rispetto ad altri ‘primi’ giorni di scuola?
“C’era di diverso che molti amici non mi salutavano neanche, questo mi ha fatto sentire ancora più male”.
E, invece, la cosa positiva di questo primo giorno di scuola?
“Ritornare a stare con le mie amiche, tutte insieme”.
Cosa vuoi fare da grande?
“Voglio fare la pasticciera”.
E il tuo dolce preferito?
“I profitterol con la crema”.
Come va a scuola?
“Mi sono abituata a stare con le mie amiche più strette. Mi confronto, racconto quello che provo. Gli altri li ho lasciati perdere”.
Come ti danno forza le tue amiche?
“Mi dicono che devo essere felice e sorridere sempre. Con loro è più facile sorridere, con altri no. Di loro mi fa sorridere il modo in cui mi parlano, scherziamo insieme, magari sui ragazzi, i professori, ce ne sono alcuni dei quali facciamo la caricatura, un po’ pazzi anche loro”.
Ti piace ancora vivere qui a Sarno?
“Mi piacerebbe vivere più lontano, fare nuove amicizie, parlare con gente che la pensa in modo diverso. Qui pensano solo all’aspetto esteriore, più che a capire cosa c’è dentro le persone. Non riesco a far capire cosa provo dentro. Badano a quello che indossi, se sei vestita bene, se hai le scarpe firmate”.
E tu come ti senti, pensi di essere una ragazzina come tante altre, normale, o ti senti incompresa in questo mondo?
“Penso ad essere me stessa perché ho delle amiche che non giudicano. La cosa peggiore che hanno fatto gli altri dopo quello che mi è capitato è stata dare la colpa a me per quello che è successo. Hanno giudicato senza conoscermi, la colpa peggiore che mi è stata data è quella che io sono andata là, in quel posto”.
E ti sei sentita in colpa per quello che è accaduto?
“Io non mi sono data delle colpe, perché comunque eravamo amici io e lui (il ragazzo che l’ha violentata per primo, ndr). La storia che ero andata io là, è stato il pretesto per attaccarmi. Sono stata ancora più male e ho provato molta rabbia. Violentata anche in questo”.
E’ difficile tornare alla vita di tutti i giorni? Cosa ti ha aiutato a ricominciare?
“E’ stato difficile tornare alla vita normale. Mi ha aiutato avere mamma vicino, nonna, zia. Loro non mi hanno giustificato, mi hanno capito. Non lo so se si si sono sentite in colpa anche loro, forse mamma sì. Quella sera non mi voleva fare uscire, diceva ‘se magari non fossi uscita forse non accadeva tutto questo’. Forse non sarebbe accaduto nulla”.
Cosa pensi del destino, delle cose che capitano e basta?
“Non ci ho pensato”.
Cosa fai oltre ad andare a scuola? Esci ancora la sera?
“Ho paura di uscire, paura che mi possa capitare di nuovo. Ho perso la fiducia negli altri. A volte il pomeriggio vado da una mia amica, dopo la scuola”.
Cosa pensi degli adolescenti e dei ragazzi della tua età?
“Frequento solo gli amici che conosco, è diventato difficile fidarmi degli altri soprattutto dei ragazzi. Sono pochi quelli che hanno dei valori. A scuola oltre alle mie amiche femmine ci sono due amici, loro sì pensano che è più importante l’amicizia più che l’aspetto fisico o come ti vesti. E’ difficile parlare con un ragazzo di sentimenti. Con i maschi non parliamo molto di queste cose”.
Hai mai pensato di andare via da Sarno, pensi che fuori da qui potresti dimenticare più in fretta quello che hai vissuto?
“Penso che non dimenticherò mai, ma penso che in un altro posto potrei pensare ad altre cose, anche perché non mi conoscono, pure per cambiare aria, paese”.
In un altro posto ti sentiresti diversa?
“Non lo so, forse si”.
Dove ti piacerebbe vivere?
“A Roma. Mi piace Piazza San Pietro, ho visto il Parlamento quando sono andata con la scuola. Mi piacerebbe vivere a Roma”.
Oppure?
“Oppure in Svizzera”.
Cosa pensi di Sarno, del tuo paese?
“Ci sono tanti ragazzi che pensano solo a divertirsi e non danno valore alla vita. E vivere a Sarno non mi darà una possibilità di lavoro, nessuna possibilità per il futuro”.
Se ti dovessi raccontare con poche parole quali useresti?
“Forza. Sono abbastanza forte perché sto provando a superare questa cosa”.
E poi?
“Amicizia. Sono una ragazza vivace”.
Qual è il nome della tua migliore amica?
“R., ci conosciamo da due anni, siamo amiche perché ci troviamo quasi su tutto, litighiamo, ma ci vogliamo bene. Lei è marocchina”.
E lei ha problemi di integrazione? Com’è avere un’amica extracomunitaria?
“Lei non soffre l’integrazione, vive qui da quando aveva quattro o cinque anni, anche se spesso ha dei litigi con altri amici. Avere un’amica extracomunitaria è una cosa normalissima e come se fosse mia sorella. A volte viene trattata male, litiga con gli altri amici in classe, danno fastidio molte cose. Lei è musulmana, ma la sua religione non è un problema”.
E l’altra tua amica del cuore?
“Si chiama M. è italiana. Anche con lei mi trovo bene”.
Tu hai un fratellino nato da poco, sei un po’ come una mammina, pensi che qui lui possa avere un futuro?
“Vorrei che vivesse in un altro contesto, magari non qui. Mia mamma ha pensato di andare via, ma non ci sono le condizioni. E’ difficile”.
Quali sono le difficoltà che vive la tua mamma, cosa pensi le faccia più male?
“Sapere che qualcuno mi ha fatto del male”.
I ragazzi che ti hanno violentata ti hanno inviato delle lettere con richieste di perdono. Cosa hai pensato quando le hai ricevute?
“Potevano pure risparmiarsele perché non sono servite a niente”.
E il perdono si può dare?
“No. E’ come se uccidessi una persona e poi dicessi ‘scusa’, ma quella è morta già che scuse dai…”
Ti senti morta già?
“No, però è stata una cosa molto forte che non si può perdonare”.
E se dovessi incontrare uno di quegli individui? Ci hai mai pensato?
“Non ci voglio neppure pensare… però potrebbe capitare…”.
Vivere qui potrebbe darti l’occasione di rivederli, ma tu li ricordi?
“Si, tutti”.
Qual è il tuo colore preferito?
“Il rosso”.
E allora perché porti una felpa nera?
“Perché non mi piace apparire”.
Quale dono vorresti avere per Natale, se dovessi scrivergli una lettera come facevi da piccola?
“Da piccola, chiedevo le solite cose, le bambole. Questo Natale chiederei di far finire tutta questa guerra”.
Quale guerra?
“Quella che mi appartiene, ma anche quella fuori da me. Chiederei di non far succedere altre cose come quella che è capitata a me. Che non ci siano più femminicidi. Sai da poco è stata la giornata contro la violenza sulle donne”.
Hai letto storie di donne che hanno subito violenze?
“Si a scuola. E abbiamo fatto un compito”.
E tu cosa hai scritto?
“Ho scritto che dovremmo essere trattate per quello che siamo e non per come vogliono loro. Ho scritto in generale che vorremmo essere trattate con un po’ di dolcezza in più, non va bene che un uomo pensi che siamo oggetti. La violenza non può essere perdonata, perché ci sono uomini che dicono che cambieranno e poi non lo faranno mai”.
Ti saresti ribellata se avessi avuto uno schiaffo da un uomo?
“Si, sicuramente”.
Hai parlato con le tue amiche di questo argomento, dell’amore violento e dell’amore vero? Cosa pensano?
“Si, ne abbiamo parlato, loro non vivono esperienze di violenze e la pensano come me”.
Cosa pensi debba fare una donna che vive violenze in famiglia?
“Io mi allontanerei se una persona mi facesse del male. Ci sono molte donne che andando avanti pensano possa cambiare qualcosa. E invece non è così”.
Denunceresti un uomo violento?
“Lo farei. Ma lo Stato, nel mio caso mi sta abbandonando un po’ perché sembra che vogliano farli uscire”.
Cosa significa farli uscire? Una sconfitta?
“Si”.
Cosa dovrebbe fare lo Stato?
“Non lo so. Forse applicare pene più severe”.
Ci credi che un uomo violento possa essere recuperato possa capire che ha sbagliato?
“Dipende. Se pensa che con la violenza dimostra il bene che vuole ad una donna non cambierà mai. Ci sono uomini che riescono a capire e altri no”.
Secondo te, è come avere una dipendenza?
“Si”.
Hai amici che fanno uso di droghe o alcol?
“Non ne ho”.
Mi aiuti a capire perché gli adolescenti fanno uso di droghe e alcol?
“Per dimostrare di essere più adulti. E invece non è così. Ho degli amici che ogni tanto prendono una birra, ma così… Non per dimostrare di essere grandi. L’uso di droghe è diffuso e aumenta sempre di più”.
E tu? Faresti questa vita da sballo come la chiamano oggi?
“Mi sento diversa, non lo farei mai. Facciamo male solo a noi stessi. Andando avanti col tempo ci si distrugge”.
Cosa pensi dell’amore? Ti sei mai innamorata?
“Ogni tanto, l’amore penso sia un affetto molto forte verso un’altra persona: un fratello, un amico, un fidanzato. Ora provo amore verso la mia famiglia e basta”.
Rosaria Federico
(le riprese video sono a cura di Ciro Serrapica)
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