“Ma quale camorra? Sono un camionista”, il boss Antonio Petrosino D’Auria si difende in aula

“Non conosco nessuno di quelli che mi accusano .Non li ho mai frequentati. Sono stato via da Pagani negli anni delle indagini. Ero a Parma e poi in Calabria per il mio lavoro di autotrasportatore ortofrutticolo. Non ho mai parlato col pentito Domenico Califano, né ho avuto rapporti con Vincenzo Greco. L’ho conosciuto nei processi. Ho sempre lavorato con la mia azienda agricola e per questo mi ritengo fortunato”. A parlare per la prima volta in aula è Antonio Petrosino D’Auria, colui che viene indicato dalla Dda di Salerno come il capo di un pericoloso cartello criminale insieme con Tommaso Fezza. Lo ha fatto collegato in video conferenza dal carcere di Novara dovè è detenuto in regime di 41 bis al processo Taurania Reevenge, nato dal maxi blitz del 2008 che portò in carcere 23 camorristi dell’Agro con altri 26 indagati. Ha risposto al pm della Dda di Salerno, Vincenzo Montemurro: “Sapete le cose perché mi avete processato…Non riuscivo a relazionarmi con le persone. Avevo paura di uscire di casa. Sono stato fuori, ma non scappavo da Pagani. Presi la residenza a Parma. Dimostratemi che ero a Pagani in quel periodo: controllate intercettazioni e filmati. Ero fuori da ogni cosa, avevo problemi anche a relazionarmi e paura ad uscire di casa. Lavoravo con la mia azienda di ortofrutta. E ne ero orgoglioso. Ogni tre mesi andavo in Puglia e Calabria, a Isola Capo Rizzuto”.

Poi ha parlato dei pentiti che lo accusano i fratelli Alfonso e Vincenzo Greco: “Farei una distinzione tra l’essere amici, conoscenti o semplici frequentatori ma non conosco nessuno dei due. Grazie a questi processi, pare che sono diventato un loro amico. Ho sempre visto loro, Luigi Iannaco e Bombardino, come un unico gruppo che faceva affari illeciti…Gerardo Baselice e Domenico Califano? Mai frequentati o parlato con loro. Anzi, se volete chiediamo un confronto con entrambi”.   Per la procura antimafia di Salerno da almeno 15 anni “Tonino” guida e gestisce la cosca della Lamia, storico fortino delle organizzazioni criminali paganesi fin dagli anni ottanta, con le propaggini di famiglie note come i De Vivo, gli stessi Fezza del capoclan Tommaso, e prima ancora gli Archetti e gli Olivieri. Ma la deposizione di ieri è servita ad Antonio Petrosino D’auria a prendere le distanze da tutti cercando di tracciare un quadro diverso della sua persona e di come lo hanno dipinto pentiti e magistrati: “Iannaco? So che era di Sant’Egidio. Consideravo lui, i Greco, Bombardino una sola cosa, a fare affari insieme…con Tommaso Fezzaci fu una rottura, incomprensioni, quando lui è uscito nel 2005 non ho avuto più rapporti. Ho conosciuto Andrea De Vivo e Vincenzo Confessore ma non ci siamo mai frequentati”. Anche per Il fratello Michele: “Quando è uscito dal carcere andò a vivere a Rocca. Io ho sempre fatto una vita modesta, da operaio.  Lo stesso mia moglie, che a 17 anni gestiva un minimarket. Ho tre figli piccoli, ma non posso vederli per questi processi. Sono imputato in processi con persone che non conosco. Mia moglie oggi vive in una casa piccola, rotta con un affitto di 500 euro al mese. Non ho mai avuto grosse somme di denaro disponibili per fare attività illecite. Con la famiglia Fezza i rapporti si ruppero dopo che uscì Tommaso Fezza dal carcere. Fu per il matrimonio di mia suocera. Non andai neanche al matrimonio di mio cognato, Luigi Fezza. Non esiste alcun portone Fezza-D’Auria. Noi vivevamo in un altro civico. Mai fatto affari con nessuno, sono imputato con persone che non conosco. Non conoscevo neanche i Panico, non mi spiego perché imprenditori che dissero di non conoscermi, due giorni dopo decisero di denunciarmi…Nicola Fiore e mio padre discussero in carcere, quando uscirono ci fu l’agguato. Mi accusano per motivi di rancore verso altri, non lo so”.


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