“Sono in grado di riferire di omicidi anche se non ho avuto personalmente un ruolo ma dei quali sono a conoscenza”.  E’ il 4 novembre scorso quando Antonio Lo Russo, figlio di Salvatore, il primo pentito dei “capitoni” di Miano mette a verbale con la Dda di Napoli quello che sa di una dozzina di omicidi compiuti nell’area a Nord di Napoli. I suoi primi verbali ricchi di omissis sono agli atti del processo ai clan di Secondigliano che comincerà in Appello a fine febbraio prossimo. Dichiarazioni pesanti che stanno facendo tremare molti boss e gregari dei clan che negli anni sono stati alleati e hanno fatto affari con i “capitoni”. Condannato a dieci anni di carcere per associazione camorristica nel giugno scorso ha deciso di passare dalla parte dello Stato seguendo le orme del padre pentito da tre anni e degli zii Mario e Carlo nel corso dello scorso anno. Antonio Lo Russo, noto per la vita da latitante di lusso, fu arrestato mentre passeggiava in bici lungo la promenade di Nizza, e per i suoi rapporti con il Pocho Lavezzi, ex calciatore del Napoli, ha anche parlato agli investigatori della Dda di Napoli degli affari di famiglia e soprattutto del famoso panificio  della moglie Annalisa Gargano nel quale aveva investito 130mila euro e che gli fruttava ben 10mila euro al mese. Una sorta di assicurazione sulla vita per la donna e per i suoi figli. Con il business per pane Antonio Lo Russo negli ultimi anni aveva taglieggiato numerosi negozi di Chiaia imponendo il prodotto a prezzi moti più alti che altrove. Ora il pentito ha altri quattro mesi di tempo per raccontare agli investigatori tutto quello che sa degli affari illeciti di famiglia. Ma anche del tesoro, dei colletti bianchi e degli insospettabili coinvolti.