Per trovare un precedente, per altro ‘non fortunato’ perche’ annullato dal Riesame, alla sentenza del tribunale per i minori di Napoli di sospensione della potesta’ genitoriale a boss camorristi occorre tornare indietro di quasi un anno, alla mattina del 20 aprile dello scorso anno: un risveglio doloroso per le forze dell’ordine. Venticinque colpi di kalashnikov esplosi nel cuore della notte contro l’ingresso della caserma dei carabinieri nel quartiere di Secondigliano a Napoli. Un segnale di forza lanciato senza scrupoli contro le istituzioni da parte della camorra. A fare fuoco fu un commando di almeno sei persone, ma secondo la Dda di Napoli che tutt’ora conduce le indagini sull’intimidazione, a fare fuoco fu anche Umberto Accurso, 25 anni, boss della Vanella Grassi che all’epoca era latitante da due anni. Fu arrestato un mese dopo in una villa bunker a Qualiano, localita’ in provincia di Napoli. Contro di lui per ora ci sono sospetti racchiusi in una informativa depositata al ministero della Giustizia per la richiesta, poi ottenuta, di applicazione del carcere duro. Accurso aveva imbracciato un fucile perche’ poche ore prima del raid, il Tribunale dei Minori con un provvedimento d’urgenza gli aveva tolto i due figli minorenni trasferendoli in una comunita’ protetta. Disposizione questa che e’ stata poi annullata dal Riesame. Due i motivi alla base dell’ordinanza. Il primo e’ il pericolo per l’incolumita’ dei minorenni ritenuti a rischio in quanto figli di un capoclan che e’ il fratello di un pentito della camorra, Antonio Accurso. Il secondo la continua contingenza del nucleo familiare con Umberto Accurso che all’epoca era ricercato in tutta Italia perche’ considerato a capo del gruppo dei ‘girati’ che hanno scatenato una faida, nel 2014, provocando decine di morti.
“Certi contesti familiari sono solo dannosi e dunque è giusto allontanare i figli da genitori come quelli che li utilizzano per trafficare droga”. Melita Cavallo per molti anni presidente del Tribunale per i minori di Napoli conosce questa realtà “dove – dice – la famiglia non è funzionale alla crescita dei figli”. “Mi sono capitati casi in cui – racconta – i ragazzini oltre a preparare le dosi di droga venivano utilizzati per uscire a consegnarla”. “In questi casi non si possono non allontanare i figli dai genitori – aggiunge – sostenendo i ragazzi e spiegando che la separazione può non essere definitiva”. “E’ una sorta di avvertimento per i genitori, non un taglio irreversibile – prosegue – e per i figli ci vuole il sostegno degli psicologi, della comunità che li accoglie, bisogna agire con umanità ma allo stesso tempo con fermezza, spiegando che padre e madre hanno sbagliato”. “Mi ricordo – conclude – di un padre a cui anni fa furono tolti i figli che mi scrisse dal carcere per ringraziarmi, avendo capito che l’allontanamento dal contesto familiare ‘a rischio’ aveva salvato i ragazzi aiutandoli a trovare una strada migliore”.