E’ uno dei tanti “Cold case” della camorra che Pasquale Scotti ‘o collier, il boss che per oltre trent’anni è stato uccel di bosco in Brasile rifacendosi, una vita e una famiglia con un nuovo nome, sta contribuendo a risolvere. E solo uno come lui che è stato al vertice della sanguinaria Nco di Raffaele Cutolo e che dalla scorsa estate ha deciso di pentirsi può svelare i tanti casi irrisolti. E tra questi c’è anche quello dell’omicidio di Gerardo D’Arminio, carabiniere del Nucleo investigativo di Napoli, assassinato il 15 gennaio del 1976 ad Afragola nel corso di una incursione armata del potente clan Moccia. Anche se in questo caso non si può parlare di un vero e proprio “Cold case” perchè per la giustizia italiana c’è stato un processo e una condanna anche se in carcere era finita la persona sbagliata e quindi l’assassino sarebbe ancora libero.
Scotti ne ha parlato in uno dei sui primi verbali sottoscritti davanti al pm della Dda Ida Teresi, e come riporta in esclusiva il Roma, accusando il clan Moccia di Afragola: “Hanno fatto arrestare Vincenzo ma il responsabile è un altro fratello”, e fa il nome alla Dda. Il carabiniere D’Arminio, riconosciuto come vittima della mafia, stava indagando sui legami della malavita campana-sicula-calabrese legati ai traffici di droga a livello internazionale ed era una figura di spicco degli investigatori degli anni Settanta che fronteggiavano gli attacchi della Nco di Cutolo. La sera del 5 gennaio del 1976, stava accompagnando il figlioletto di 4 anni in un negozio di giocattoli, quando venne giustiziato a 43 anni, da un colpo di fucile che fu esploso da una Fiat 500 di colore gialla. In quell’auto c’erano degli affiliati al clan Moccia, sul quale stava dirigendo le sue indagini. Dell’omicidio si autodenunciò l’ultimo dei fratelli Moccia, Vincenzo, che dopo aver scontato una pena di 11 anni (grazie alle attenuanti per la giovane età), appena uscito di galera venne ucciso. Ma quell’omicidio ha avuto sempre dei contorni cupi. Si disse che l’obiettivo dell’agguato non fosse D’Arminio ma che lo stesso ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e che doveva invece morire un affiliato al clan nemico degli afragolesi, un tale Luigi Giugliano Nel verbale del 15 giugno scorso, Pasquale Scotti racconta un’altra versione di quell’omicidio, indicando ai magistrati il nome del vero assassino. “Dei comportamenti malavitosi dei Moccia ho appreso nel giorno dell’omicidio del maresciallo dei carabinieri nella piazza di Afragola – dice Scotti – Mi pare che il maresciallo era accanto a Luigi Giugliano, o Giuliano, non mi ricordo, del gruppo degli Isaia. I Moccia volevano uccidere uno di quel clan ma per errore uccisero il maresciallo. Seppi poi da terze persone – spiega il collaboratore di giustizia – anche se non ricorso chi sono, che erano stati proprio i Moccia. Mi fu detto che era stato ..omissis.. ad uccidere il maresciallo, ma si autoaccusò il terzo figlio, perché era piccolo, e fu una scelta strategica dei Moccia. Il movente dell’omicidio era da ricercare nella faida di Afragola esistente tra Isaia, Moccia, Magliulo e De Luca ’o presidente. Erano loro le famiglie di spicco della zona ma ad un certo punto si ruppero tra loro. Uno dei motivi fu proprio l’omicidio di Gennaro Moccia”.