Scafati. “La persistenza di specifici interessi delle associazioni camorristiche in ordine alla gestione della cosa pubblica è stata messa in luce dagli esiti dell’indagine” della Procura antimafia. E’ questo uno dei presupposti dai quali, il Ministro dell’Interno, Marco Minniti, parte per avallare le conclusioni del Prefetto Salvatore Malfi che ha proposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Scafati. Rilevante la circostanza, richiamata dal Ministro e fatta sua dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che il sindaco – poi dimessosi – Angelo Pasqualino Aliberti sia indagato per associazione per delinquere e scambio di voto politico mafioso, insieme ad un suo stretto congiunto (il fratello Nello Maurizio Aliberti, ndr), il segretario generale dell’Ente (Immacolata Di Saia, ndr), ed un membro dell’ufficio staff del primo cittadino (Giovanni Cozzolino, ndr) e nel medesimo procedimento vi è un altro stretto congiunto del sindaco (la moglie Monica Paolino, consigliere regionale di Forza Italia, ndr) ed un consigliere comunale (Roberto Barchiesi, ndr). La relazione del Ministro Minniti è la sintesi di una lunga fase di accertamenti, giudiziari e amministrativi, fatti contemporaneamente dalla Procura antimafia di Salerno e dalla Commissione di accesso che si è insediata al Comune di Scafati a marzo dello scorso anno. E’ il compendio di 300 pagine di relazione che la Commissione nominata dal Prefetto Salvatore Malfi ha inviato al Ministro dell’Interno a novembre scorso. Nessun nome, così come vuole la prassi, nella sintesi che porta la firma di Minniti, ma riferimenti chiari e noti quelli che hanno decretato lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Il secondo dal 1993 ad oggi. Un filo che – nonostante il tempo trascorso – si è riannodato intorno all’amministrazione comunale gestita dal 2008 al 2016 dal sindaco Angelo Pasqualino Aliberti di Forza Italia. Il Ministro Minniti riprende la vicenda giudiziaria del primo cittadino e le gravi accuse di scambio di voto e corruzione elettorale che hanno spinto i giudici del Riesame ad avallare la richiesta di arresto del pm Vincenzo Montemurro. “Ci fu un accordo in occasione delle consultazioni amministrative del 2013 tra il sindaco uscente (Aliberti, ndr) poi rieletto alla medesima carica e gli esponenti di un nuovo gruppo criminale, interessato ad infiltrarsi nell’istituzione locale”. E poi ancora il patto, quel ‘do ut des’, quello scambio o quelle promesse tra un politico e un’organizzazione criminale che induce al concretizzarsi del 416 ter del codice penale. “In cambio di sostegno elettorale, si è impegnato a far ottenere l’aggiudicazione di appalti comunali ad imprese riconducibili al clan” scrive Minniti. Il patto per le amministrative del 2013 è stato sostanzialemente questo: da un lato la candidatura di un soggetto vicino ad ambienti criminali, eletto consigliere comunale e cioè Roberto Barchiesi, zio acquisito di Alfonso Loreto, capo della nuova organizzazione criminale alla quale fa riferimento il Ministro; dall’altro ‘la nomina della persona indicata dalla criminalità organizzata alla carica di vicepresidente di una società totalmente partecipata dal Comune’. La società è l’Acse, la partecipata comunale che gestisce i servizi del territorio. Il riferimento chiaro è a Ciro Petrucci, amico dei giovani rampolli del clan Loreto-Ridosso, diventato – su pressioni dell’organizzazione criminale – vicepresidente della società ed entrato di fatto nella gestione amministrativa dell’apparato comunale. Petrucci – secondo gli inquirenti – rispondeva delle sue azioni direttamente a ai Ridosso-Loreto, e la sua carica pubblica faceva da trait d’union tra il sindaco Angelo Pasqualino Aliberti e i vertici del clan.
Ma un altro episodio è richiamato nella sintesi del Ministro: il ritrovamento di un cartellone pubblicitario elettorale nelle Provinciali del 2009 dell’allora sindaco Aliberti. Era il 2009 e nel corso di un perquisizione fatta dai carabinieri presso la sede della società di trasporti Tran Europa di Antonio Matrone, detto Michele, figlio del boss Francesco Matrone, detto ‘a belva, fu trovato il manifesto elettorale del candidato Aliberti. In quelle elezioni Angelo Pasqualino Aliberti diventò consigliere provinciale di Forza Italia, in appoggio al Presidente Edmondo Cirielli che battè il presidente uscente Angelo Villani. Nel 2009 Franchino Matrone ‘a belva era latitante da due anni sfuggito alla Sorveglianza speciale per evitare due ergastoli nel 2007, fu arrestato nel 2012. La storia giudiziaria di quella fuga durata cinque anni ha raccontato che Franchino Matrone non ha lasciato mai la provincia di Salerno, coperto da una rete di insospettabili e dai familiari tra i quali il figlio adottivo, continuava a dettare legge a Scafati e nei comuni limitrofi, dedicandosi con tutta tranquillità agli ‘affari’ ma anche alla sua passione per la caccia. Nel 2012 fu scovato ad Acerno, in provincia di Salerno, dove tranquillamente andava a caccia con i suoi amati cani. Quel manifesto elettorale di Aliberti, per gli investigatori, non poteva non essere un indicazione chiara. I Matrone supportavano la candidatura di Angelo Pasqualino Aliberti al Consiglio Provinciale.
Antonio (Michele) Matrone, insieme al padre Francesco, tra l’altro è destinatario – richiama il Ministro Minniti – di una richiesta di rinvio a giudizio per associazione per delinquere aggravata dall’articolo 7 finalizzata all’usura da parte della Procura antimafia di Salerno, in quella stessa inchiesta è implicato un dipendente comunale. Si tratta del vigile urbano Ferdinando Raiola, cugino di un costruttore legato – secondo l’accusa – al clan Matrone. Ma le ‘censure’ del Ministro e prima ancora della Commissione di accesso riguardano anche i rapporti di parentela di alcuni amministratori dell’ente con soggetti ‘controindicati’ e cioè con legami sospetti. “Analoghi rapporti, nonché pregiudizi e pendenze di natura penale sono stati riscontrati nei confronti di esponenti dell’apparto burocratico dell’ente e di società ad esso partecipato” scrive Minniti. Ed inoltre, come se non bastasse, la Commissione di accesso e dunque il Ministro dell’Interno ha sottolineato la continuità tra le due amministrazioni Aliberti, quella del 2008 e quella del 2013: sette consiglieri comunali, compreso il presidente (Pasquale Coppola, ndr), dell’organo consiliare, nonchè cinque assessori e il vicesindaco (Giancarlo Fele, ndr) hanno fatto parte della pregressa compagine di governo locale. Consiglieri e assessori che si sono alternati con ruoli e in schieramenti prima uguali e poi opposti con il sindaco Aliberti nel corso di otto anni di amministrazione. Un’amministrazione ‘svilita’ da un Governo ‘condizionato’. Un’amministrazione volta a ‘perseguire fini diversi da quelli istituzionali che hanno determinato lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale e il pregiudizio degli interessi della collettività’. Un giudizio amministrativo inappellabile.
Rosaria Federico