Scafati. “Agli inizi del duemila le organizzazioni criminali autoctone, sempre caratterizzate da un forte collegamento con gli altri clan operanti nel circondario, hanno ripreso ad interessarsi agli appalti pubblici e proprio in quegli anni emergono le prime testimonianze della presenza del clan dei Casalesi, in collegamento con le consorterie autoctone”: Scafati, terra di conquista, di un male oscuro mai scomparso e diventato noto politicamente nel 1993.
“E’ agli inizi degli anni 2000 che compare sulla scena politica l’attuale sindaco – scrive il Prefetto nella relazione che ha accompagnato lo scioglimento del Consiglio comunale di Scafati -, eletto nell’amministrazione comunale, come consigliere di opposizione, nell’anno 2003 ed a sindaco nell’anno 2008”. La carriera politica di Angelo Pasqualino Aliberti è racchiusa così in poche righe dalle quali inizia una ricostruzione storica e giudiziaria dell’uomo che ha guidato il Comune di Scafati per otto anni, fino a dicembre del 2016. “Dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (Pasquale Loreto, ndr) è emerso che il predetto sindaco aveva collegamenti con il clan (Sorrentino, ndr) di Scafati, che ne appoggiò la campagna elettorale”. Dichiarazioni che nel corso delle indagini erano emerse da alcune inchieste giudiziarie. Il collaboratore di giustizia, Pasquale Loreto prima che il figlio facesse la stessa collaborativa, aveva rivelato che il sindaco Aliberti era stato sostenuto prima dal clan Sorrentino, nel 2008 e successivamente da quello dei Ridosso-Loreto, nel 2013. Ma sottolineare quella sorta di vicinanza di ambienti della criminalità organizzata con il politico Aliberti o con suoi familiari c’è un episodio: “… da atti di polizia giudiziaria, risulta che già in occasione delle predette elezioni del 2003, era stata rilevata la presenza del fratello (Nello Aliberti, ndr) all’interno di un seggio elettorale, accompagnato da esponenti di vertice del clan (Sorrentino, ndr). Quel seggio dove fu segnalata la presenza era il numero 28 della scuola S. Vincenzo. Seggio roccaforte della famiglia Aliberti-Paolino, situato nei pressi dell’abitazione di quello che diventerà il futuro sindaco.
Ma quello che raccontano le indagini della Commissione e della Dda è come un’escalation di potere, assunto anche con l’appoggio o le collusioni, dei clan. Il mancato arresto e la successiva decisione del Riesame di accogliere il ricorso del pm nei confronti di Pasquale Aliberti è supportato anche da una serie di dichiarazioni che, in fondo, raccontano un metodo. Il 28 ottobre scorso, la Dda invia alla Prefettura le dichiarazioni di Romolo Ridosso, il quale anche se tardivamente, fornisce una serie di elementi che delineano le scelte fatte in quella campagna elettorale nella quale Aliberti per vincere, dovette arrivare fino al ballottaggio. Ridosso racconta che proprio in quella campagna elettorale l’attività di affissione dei manifesti e volantinaggio fu affidata ai partecipi dell’organizzazione criminale. Cinquemila euro che lo staff del candidato Aliberti pagò per quel servizio.
Ma oltre ai legami con i clan provati o ancora da provare, la censura più forte della Commissione di accesso nei confronti di Aliberti riguarda proprio la gestione della macchina comunale: “La macchina comunale risulta affetta da una forma di controllo sistematico, attuata dal sindaco congiuntamente al segretario generale dottoressa Immacolata Di Saia, immediatamente nominata da Aliberti all’indomani della sua prima elezione a sindaco nel 2008. Tale forma di controllo è stata esercitata – anche attraverso l’architetto Gabriella Camera, chiamata al Comune di Scafati con contratto a tempo determinato dai medesimi soggetti – finanche in tema di appalti”. Il controllo sistematico della macchina comunale e non solo, anche delle partecipate ha spesso confuso il ruolo politico con quello gestionale amministrativo del Comune di Scafati. Con una serie di ‘distorsioni’ evidenziate dalla commissione di accesso soprattutto in tema di appalti e incarichi. A raccontare forme di costrizioni volte a vere e proprie omissioni anche alcuni dirigenti comunali, come Giacomo Cacchione. Il dirigente del servizio finanziario, cuore pulsante dell’Ente, la leva per ogni scelta politica racconta di pressioni sia da parte del sindaco che della segretaria comunale, di cui temeva anche i rapporti di ‘affinità, tramite il fratello Nello, – per quanto riguarda Aliberti – con il camorrista (omissis). Successivamente, nel 2012, venni a conoscenza che la segretaria era coinvolta in una vicenda giudiziaria nell’ambito della quale erano stati accertati i suoi diretti legami con esponenti del clan dei Casalesi. Per tali motivi, il mio agire nei confronti dell’amministrazione comunale di Scafati, ed in particolare del sindaco e della segretaria, è stato sempre condizionato dal timore dei collegamenti che questi ultimi avevano con la criminalità organizzata locale e casertana”. Basterebbe questo per il Prefetto per determinare l’infiltrazione di forze oscure, della camorra, nell’amministrazione cittadina. Ma purtroppo c’è stato anche altro.
Rosaria Federico
