Torre Annunziata, droga a fiumi dal Sud America: tutti gli affari della holding dei Tamarisco

Torre Annunziata. Holding della droga, gestita dalla famiglia Tamarisco e dal narcos in carrozzella, Bernardo ‘nardiello’, che sfruttando i contatti con le ‘ndrine calabresi importava nel Vesuviano fiumi di ‘coca’, provenienti dalla Spagna e dall’Olanda. Al via a metà febbraio in tribunale, con questa che è la principale accusa mossa dai pm della Dda di Napoli, il maxi-processo che vedrà alla sbarra Bernardo e i suoi sodali.

Il ras, costretto da anni su una sedia a rotelle in seguito ad un raid punitivo, per i pm Claudio Siragusa e Filippo Beatrice, gestiva infatti il traffico di cocaina, muovendo fiumi di droga con una semplicità impressionante, direttamente dalla sua base operativa di Torre Annunziata.

Tamarisco, secondo la ricostruzione confluita nella corposa ordinanza di custodia cautelare del marzo 2016, era al vertice di un sistema collaudato. Sistema che poteva contare anche su fidati operatori nel porto di Salerno. Il tutto emerse da una capillare attività investigativa, portata avanti dagli uomini del GICO.

I ‘nardiello’, con contatti con il clan Di Lauro e con le famiglie malavitose calabresi, le cosiddette ‘ndrine, importavano ingenti quantitativi di droga anche dal sud America. Nell’indagine contro i Tamarisco emerse inoltre che Domenico, fratello del ras in carrozzella ed uscito dal carcere il 6 aprile 2016, era subito rientrato in azione nel cartello criminale di famiglia.

Tanto da programmare – la tesi investigativa – persino l’omicidio di un rivale. Il motivo? Fare un semplice favore al clan Gionta, cosca di camorra con la quale i Nardiello, dopo le aspre rivalità poi culminate nelle faide sanguinarie dei ’90, avrebbero stretto una sorta di patto di ferro.

L’inchiesta degli uomini del Gico prese avvio nel gennaio 2014, ascoltando una telefonata da una cabina pubblica tra il napoletano Gennaro Iavarone, Claudio Scuotto, ed il broker della droga trasferitosi in Ecuador, Salvatore Iavarone. Proprio in quella telefonata si faceva riferimento alla necessaria raccolta di danaro, utile per estinguere il pagamento di una precedente partita di stupefacenti. La raccolta sarebbe inoltre servita per finanziare un altro ingente carico: una sorta di vera e propria catena di montaggio.

Da quel mero spunto investigativo, poi, gli inquirenti risalirono agli organigrammi operativi sul territorio di Torre Annunziata. Erano due organizzazioni distinte, ma collegate. Una facente capo ai Tamarisco. L’altra, invece, con al vertice il pregiudicato 33enne Francesco Matrone. Cocaina a fiumi, inviata da Salvatore Iavarone e destinata ai Tamarisco. Lo stupefacente partiva dal porto di Guayaquil, in Ecuador, arrivando poi nel porto di Salerno. Snodo dove – secondo l’accusa – Matteo Rispoli e Antonio Romani, dipendenti addetti all’interno del porto campano allo scarico delle merci, recuperavano la droga tramite Enrico Russo.

Tra le importazioni registrate dai finanzieri anche una, poi fallita, nel 2015, con un maxi-sequestro di 33 kg di ‘coca’ effettuato nel porto di Manzanillo, a Panama. Per questa operazione erano stati versati circa 178 mila euro. I Tamarisco – secondo gli esiti dell’inchiesta – facevano riferimento in Ecuador a Salvatore Iavarone, così come a Davide Scuotto, altro narcos napoletano, trasferitosi in Sud America e cugino di Claudio. Inoltre, sempre i ‘nardiello’ avrebbero avuto diversi collegamenti con i trafficanti italiani, espatriati in Colombia, Vincenzo Iannotta, deceduto in seguito, Salvatore Maccarone ed Alberto di Rienzo.

Del secondo gruppo, individuato dai finanzieri ed operante sul territorio di Torre Annunziata per importare soprattutto marijuana, facevano parte Francesco Matrone e Biagio Perlingieri, insieme al cittadino trevigiano Paolo Domenico Da Rold, ed ai corrieri sloveni Marina Petovsky e Viliam Brida. Il 16 febbraio 2015 vennero sequestrati 1042 chili di hashish, nascosti in un tir condotto da due stranieri. Una volta giunta sul mercato campano la cocaina, importata dai Tamarisco, veniva collocata sulle piazze di spaccio soprattutto grazie alla complicità di Vincenzo Barbella, pluri-pregiudicato sessantanovenne che acquistava all’ingrosso per poi rivendere alle famiglie del napoletano.

I Tamarisco, nel corso degli anni, avevano instaurato un rapporto collaudato con una potente cosca della ‘ndrangheta calabrese. Rapporto dimostrato dal sequestro, nel novembre dello scorso anno, di un chilo di cocaina, occultato in un bed&breakfast di Torre Annunziata. La droga – per gli inquirenti – era stata trasportata da un rappresentante della ‘ndrina di Calabria, con un’auto munita di doppio fondo: serviva da “campione”.

Secondo l’accusa, i Tamarisco facevano infine affari con altri narcotrafficanti di Torre Annunziata. Le indagini successive portarono alla scoperta di una trattativa che doveva chiudersi tra Alfonso Fiorente, zio del brooker di Trecase, Pasquale, arrestato nel dicembre scorso al confine tra il Cile ed il Perù, e Bernardo Tamarisco.

In quella circostanza, Alfonso Fiorente (difeso dal penalista Gennaro De Gennaro) avrebbe contrattato con Bernardo Tamarisco una grossa fornitura di cocaina pura. La partita di polvere bianca era infatti pari a 40 kg. I due, protagonisti dell’affare, vennero intercettati mentre ancora discutevano dei presunti affari illeciti.

Monica Barba

 


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