Dalle ‘pannine’ all’oro, ecco la storia dei pegni a Napoli: qui nacque la lotta all’usura

 

Dalle pannine, cioe’ biancheria usata, all’oro: e’ questa in sintesi la storia dei pegni a Napoli. Le pannine erano l’unica garanzia, l’unico bene (anche se di scarsissimo valore) che i piu’ poveri, nella Napoli di meta’ Cinquecento, potevano offrire. E cosi’ con la biancheria usata, in particolare lenzuola, si presentavano agli sportelli del Monte di Pieta’ e del Sacro Monte dei Poveri per chiedere un credito. L’origine delle banche nel Mezzogiorno, i prodromi dell’attivita’ finanziaria erano insomma legati ad un momento di particolare valore sociale, e cioe’ quello del sostegno a chi non aveva nemmeno il minimo per sopravvivere. Da questo germe di solidarieta’ nasceva nel 1539 l’attivita’ di lotta all’usura (gia’ praticata, quest’ultima, all’epoca da un gruppo di persone a Napoli con tassi del 50-60 per cento all’anno) per venire incontro a chi aveva bisogno di cifre irrisorie, appena 3-4 ducati per procurarsi il cibo. Gli indumenti erano sempre quelli, vecchi e laceri. Le agevolazioni erano notevolissime, i tassi contenuti tra il 4 e il 6 per cento. Per i primi giorni il prestito era cosiddetto ‘grazioso’, cioe’ gratuito e il bene poteva rimanere in pegno anche per quattro anni. Ma anche dopo l’asta il ricavato, tolte le spese, veniva messo a disposizione dei proprietari. Il principio da mantenere era quello della concessione del credito per fini filantropici. Ma dal ‘600, in fila con i poveracci, cominciarono a mettersi anche i nobili. Alle prese con esigenze di liquidita’ immediata, visto che non riuscivano a produrre ricchezza, cominciarono cosi’ a depositare gioielli, brillanti e le somme che si cominciarono a movimentare furono di gran lunga superiori. Qualcuno, a quel punto, aguzzo’ l’ingegno. La consistenza delle somme in ballo indusse a favorire l’attivita’ di deposito per le iniziative mercantili ed artigianali che si svolgevano a Napoli. Le banche cominciarono a diventare un’arma straordinaria per finanziare la realizzazione di strade e per favorire prestiti. ”L’evoluzione del credito su pegno – come documentò lo Umberto Mendia – e’ nitida. All’inizio si tratta di un’attivita’ filantropica con un aggio fittizio, puramente figurativo. Si trattava di un’operazione voluta da nobiluomini con enti di beneficenza che nascevano da disposizioni testamentarie, dall’accumulo di capitale per donazioni devolute a finanziare o promuovere iniziative di beneficenza e di solidarieta’ e si inserivano nel clima della controriforma”. Successivamente ci fu un incremento delle attivita’ del Monte di Pieta’ e del Sacro Monte dei Poveri a causa del crescente indebitamento della nobilita’ napoletana che non riusciva piu’ a tener freno alle sue uscite e contemporaneamente non aveva piu’ entrate. La sua era insomma una rendita passiva ma senza cespiti. A questo punto ecco emergere un senso molto piu’ affaristico della banca: vede la luce una sezione di prestiti e mutui per fini di impresa. All’interno dei due Monti, quello di Pieta’ e del Sacro Monte dei Poveri, l’incremento stesso delle somme movimentate porta ad avviare la nascita di una vera e propria attivita’ bancaria. I due banchi, con il vicere’ che per l’epoca spagnola dal 1600 al 1734 e per quella austriaca dal 1707 al 1737 e successivamente con quella borbonica, decideva le nomine, assunsero sempre piu’ carattere pubblico. L’usanza di portare beni in pegno non e’ stata di certo cancellata. Molti sono ancora oggi i nuovi poveri, tra cui piccoli e piccolissimi imprenditori in fila ogni giorno al Monte di Pieta’ dove presentano in garanzia oro e soprattutto gioielli (quanto alle pannine non e’ piu’ possibile impegnarle).(ANSA). TOR 26-MAR-17 13:02 NNN


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