Giocava con Cavani, ora è in psichiatria: talento uruguayano del calcio a un passo dal Chelsea ha ucciso il padre

Una promettente carriera al fianco di Edinson Cavani, poi stroncata da un omicidio, quello compiuto dal giovane talento nei confronti di suo padre: è la storia di Jorge Garcia, scovata in Uruguay e raccontata dal quotidiano spagnolo “Marca” nel sesto capitolo della serie intitolata “Serial Bad Boys Fc”. L’adolescente Garcia, viene narrato, avrebbe potuto affrancarsi attraverso il calcio dalle sue origini radicate in una borgata a nord di Montevideo, il Borro, teatro di tante storie di malavita. Partito dalle giovanili del Danubio, club della capitale, Jorge era presto riuscito ad entrare nelle varie selezioni Under della Nazionale uruguayana, trovandosi in squadra con talenti come Cavani, Godin, Muslera e Gargano, tutti futuri campioni che avrebbero sfondato in Europa. E i radar del Vecchio Continente avevano intercettato anche lui, 17enne esterno di grandi speranze che riusciva a coniugare prestazioni solide in difesa e pungenti in attacco, ad una vita ricca di eccessi fuori dal campo. Dopo un provino al Chelsea, lo sbarco a Londra fallì per il mancato accordo fra le società. Ma parallelamente alla sua crescita calcistica (nel 2006 arrivò persino a giocare un’amichevole con la Nazionale maggiore guidata da Oscar Tabarez), non si fermarono gli episodi negativi che lo vedevano protagonista: da incidenti stradali in stato di ubriachezza, al possesso di droga. Fino al dramma che forse lo segnò in modo decisivo: l’assassinio della madre nel 2013, nell’ambito di un regolamento di conti ancora per storie di droga. Perché l’anno seguente, una sua lite con il padre 50enne degenerò nella morte del genitore, colpito alla testa con un posacenere. Poche ore prima del delitto, il giovane aveva partecipato attivamente ad un rito in una chiesa pentecostale. Il promettente campione fu dichiarato colpevole di omicidio, ma una perizia psichiatrica stabilì che al momento dei tragici fatti si trovava in stato di delirio acuto e fu quindi mandato presso una struttura ospedaliera per malati mentali, dove si trova ancora oggi. Qui sembrerebbe aver avviato un nuovo percorso di redenzione civica, non più inseguendo il sogno di una carriera calcistica, ma partecipando ad attività comuni con gli altri ospiti come l’artigianato: la panchina con la bandiera dell’Uruguay, realizzata con tappi di bottiglie e collocata all’ingresso del centro sportivo della Nazionale del suo Paese, è opera sua.


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