“Il Pascale è il regno dei tanti cani che lavorano qui in Campania, fino a un certo punto tutti erano contenti e ognuno mangiava nella propria ciotola. Da quando sono arrivata io e mi sono presa tutte le distribuzioni, ci sono rimasti male e adesso provano in ogni modo a buttarmi giù”. Le forniture oncologiche per il polo specialistico facevano gola a tanti e, proprio per questa ra- gione, potevano innescare conflitti, invidie, rancori. Giulia Di Capua questo la sapeva bene e, replicando al malcontento della manager di una delle aziende produttrici di macchinari anticancro, nel febbraio 2015 si lascia andare a una serie di considerazioni che descrivono in maniera piuttosto chiara l’ambiente in cui operava.
Lo sfogo della 45enne imprenditrice di Posillipo è contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare che due giorni fa ha portato agli arresti domiciliari, oltre a lei, anche altre cinque persone: il marito Francesco Izzo, primario di Chirurgia oncologica addominale a indirizzo epatobiliare dell’Istituto Pascale; il direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro Elia Abbondante, all’epoca direttore della struttura complessa Gestione beni e servizi; il commercialista Sergio Mariani, socio in affari della Di Capua; l’informatore farmaceutico della Bayer Marco Argenziano. Per tutti le accuse ipotizzate dai pubblici ministeri Celeste Carrano e Henry John Woodcock sono quelle di corruzione e turbata libertà degli incanti
Giulia Di Capua è intercettata come tutti nel corso dell’indagine e la Guardia di Finanza ascolta la telefonata choc tra la moglie del primario e Simona Esposito, direttrice commerciale dell’Hs Service, una ditta fornitrice del Pascale, la cui posizione è stata stralciata dall’inchiesta.
Esposito: “Ti sto dicendo che il distributore del mio concorrente in Campania mi ha fatto il tuo nome, lui lavora per la Tecsud. Tu mi devi aiutare a capire cosa sta succedendo”.
Di Capua: “Ascoltami, adesso ti faccio un attimo entrare nel mondo della Campania che tu, per fortuna, non conosci. Nel momento in cui il Pascale è il regno di tanti cani che lavorano qui in Campania, tutti erano contenti e ognuno andava a mangiare nella sua ciotolina. Da quando sono arrivata io con la Gimed, dove mi sono presa tutte le distribuzioni perché è il mio settore e ovviamente me lo mantengo, tutti quanti adesso ci restano male perché non possono più andare a mangiare nelle mangiatoie. Quindi a questo punto che fanno? Buttano le cattive parole, le ingiurie o qualunque altra cosa su di me, perché io do fastidio, perché faccio il mio lavoro, come l’ho sempre fatto per Biores, lo continuo a fare per Gimed. Nella stessa identica maniera, cioè alla luce del sole, in maniera chiara, pulita, onesta”.
E su quest’ultimo punto, come riporta Il Roma, gli inquirenti non sembrano però essere d’accordo. Dopo la registrazione della nuova società distributrice della Di Capua, la Gdc Medicali, formalmente intestata al commercialista Sergio Mariano, la Procura mette infatti nero su bianco che l’esame dei contratti ha consentito di appurare che l’Istituto Pascale, frazionando chirurgicamente le commesse, pur nella consapevolezza del rapporto tra la Di Capua e Izzo, ha permesso che “in spregio a ogni regola di buona amministrazione i coniugi facessero dell’approvvigionamento di materiale per la cura dei tumori un vero e proprio business». Un giro d’affari stimato in quasi due milioni di euro.
(nella foto i coniugi Simona Di Capua e Francesco Izzo, agli arresti domiciliari)