La filiera del falso d’autore tra Napoli e Pescara viaggiava sui bus di linea per Roma con la complicità degli autisti

Un’organizzazione, ispirata a criteri imprenditoriali, in grado di approvvigionare grosse quantità sia di prodotti già confezionati, pronti per la vendita, sia di etichette ed accessori vari che poi dovevano essere assemblati in piccoli laboratori abusivi, anche casalinghi, dislocati sul territorio. Nell’operazione “Bazar”, portata a termine all’alba dai finanzieri del Comando Provinciale di Pescara, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila, dieci persone sono state arrestati, quasi tutti con precedenti specifici (1 associata al carcere di Pescara e 9 poste ai domiciliari); due hanno avuto obblighi di dimora nei comuni di residenza; tre, senegalesi, sono ricercati. Dovranno rispondere, a vario titolo ed in associazione, di ricettazione, contraffazione e commercio di prodotti con segni falsi. Recuperati 65mila capi, accessori ex etichette contraffatti, che sul mercato avrebbero fruttato 2 milioni di euro. Sequestrata anche attrezzatura per produrre i capi di vestiario e scarpe. Le misure restrittive di oggi si inseriscono nel contesto di un’articolata indagine che ha portato complessivamente alla denuncia di 41 persone per reati legati alla contraffazione. Gli inquirenti, coordinati dal colonnello Francesco Mora, hanno scoperto che la gang che operava in diverse regioni italiane, con a capo cittadini italiani, aveva evidenti rapporti con la malavita campana, riconducibile ad un noto clan camorristico. La filiera dell’organizzazione malavitosa si muoveva su due livelli paralleli ed era strutturato secondo il modello organizzativo “piramidale”, con al vertice cittadini senegalesi e campani che si servivano di laboratori clandestini per la produzione non solo di capi e accessori moda “taroccati”, riportanti i marchi piu’ rinomati “Dolce&Gabbana”, “Gucci”, “Fendi”, “Liu-jo”, “Louis Vuitton”, “Burberry”, “Armani”, “Hogan” “Prada”, ma anche di etichette, indispensabili per confezionare e riprodurre capi contraffatti. Punto di forza dell’organizzazione era anche la disponibilita’ di manodopera in grado di confezionare prodotti di buona fattura, sempre in linea con le ultime tendenze della moda, seppure privi, ovviamente, delle garanzie di qualita’ e sicurezza. L’organizzazione, ispirata a criteri imprenditoriali, era in grado di approvvigionare grosse quantita’ sia di prodotti gia’ confezionati, pronti per la vendita, sia di etichette ed accessori vari che poi dovevano essere assemblati in piccoli laboratori abusivi, anche casalinghi, dislocati sul territorio. Per facilitare i contatti e le transazioni all’ingrosso ed al dettaglio, erano approntati appositi “books fotografici” riproducenti la vasta gamma delle merci. Il primo composto da italiani che erano al vertice e che nei laboratori di Calabria e Campania producevano le griffe false, e il secondo riconducibile ai senegalesi che si occupavano della vendita al dettaglio della merce contraffatta. L’area di risulta della Stazione di Pescara fungeva da base logistica e dove si vendeva e si custodiva la merce. A due autisti di autobus di linea per Roma e Napoli, di una società pubblica, e che fungevano da corrieri per trasportare la merce in Abruzzo, è stata riconosciuta l’appartenenza all’associazione per delinquere.

Come provato dalle evidenze investigative, sul mercato erano introdotti beni di diversa finitura che alimentavano non solo la rete dell’abusivismo, ma anche regolari esercizi commerciali. Efficiente e capillare la rete distributiva che, grazie alle svariate tipologie di trasporto studiate ad hoc per eludere i controlli delle forze dell’ordine, permetteva di alimentare e rifornire di merce contraffatta tutte le basi logistiche. E’ stato accertato anche l’utilizzo da parte di uno degli associati del sistema “car pooling” per il trasporto di campionari di prodotti falsi. Le investigazioni hanno consentito di appurare, altresi’, che i prodotti erano spediti da Napoli mediante corrieri espressi, mezzi a noleggio, mezzi pubblici (treni e autobus di linea), in alcuni casi trasportati anche grazie alla disponibilita’ di autisti compiacenti di autobus che operano sulle tratte Napoli – Pescara e Roma – Pescara. Complessivamente, nel corso dei vari interventi eseguiti, sono stati sequestrati, presso diversi laboratori clandestini, oltre 65.000 capi, accessori ed etichette contraffatti che, secondo le ricostruzioni e a prezzo di mercato, avrebbero fruttato all’organizzazione circa 2 milioni di euro. Le investigazioni delle Fiamme Gialle pescaresi, durate circa due anni, sono iniziate nell’ambito del dispositivo di contrasto alla contraffazione ed all’abusivismo commerciale messo in atto dal Comando Provinciale di Pescara, volto a reprimere il mercato del falso ed il fenomeno della contraffazione sul territorio pescarese. Il servizio, in particolare, ha preso le mosse dal monitoraggio di alcuni venditori ambulanti che offrivano i loro prodotti in un’area mercatale, ora sgomberata, nei pressi della stazione ferroviaria centrale di Pescara, meglio nota come “Area di risulta”. Tale sito, in alcuni punti e per particolari caratteristiche, si prestava a piu’ funzioni: “vetrina” della merce contraffatta, “punto vendita” della stessa – che veniva scelta ed anche provata dai clienti in improvvisati camerini tra le bancarelle o nel tunnel della stazione – e “magazzino” della merce falsa, in parte stoccata all’interno di autovetture parcheggiate nei dintorni. Oltre ai pedinamenti ed alle attivita’ di osservazione e controllo economico del territorio, le successive indagini tecniche condotte dai finanzieri della Compagnia di Pescara, eseguite attraverso intercettazioni telefoniche e localizzazioni satellitari, hanno permesso di ricostruire l’intera catena logistica, organizzativa e strutturale della filiera illecita. Nello specifico sono stati individuati due diversi “canali di approvvigionamento”, veri e propri “distretti industriali del falso”: il primo composto esclusivamente da soggetti campani, operanti su tutto il territorio nazionale attraverso la produzione e la distribuzione di merce contraffatta – capi di abbigliamento e scarpe riproducenti marchi di famose griffe (Hogan, Nike, Adidas). Il secondo, costituito prevalentemente da senegalesi, supportati ed in associazione con i predetti campani, dediti alla fabbricazione di etichette da applicare su capi di abbigliamento ed accessori moda, per il confezionamento di capi “griffati” destinati ad alimentare il mercato del falso sull’intero litorale adriatico.

 


Articolo precedentePicchiano un ragazzo per una sigaretta: arrestati zio e nipote di Barra
Articolo successivoMalagò: “Parole De Laurentiis? Un equivoco”