C’è una nuova chiave per decifrare l’omicidio di Davide Montefusco, il primo di una lunga serie che insanguinò Ponticelli l’anno scorso. L’ha messa nero su bianco la Dia nell’ultima relazione in-viata al Parlamento e parte da un presupposto: l’ex pentito, ritornato nel quartiere con smanie da ras, sarebbe stato ucciso per una vendetta trasversale. Era infatti il cognato di un collaboratore di giustizia, Raffaele Cirella, che con le sue dichiarazioni ha contribuito alle pesanti condanne scaturite dal processo per la strage al bar Sayonara: 6morti e 2 feriti l’11 novembre 1989. Un’azione di fuoco che spianò la strada al potere dei Sarno e degli Aprea nella zona orientale di Napoli.
A dimostrazione della tesi sostenuta, il gruppo d’analisi dei fenomeni camorristici della Dia, come riporta Il Roma, cita un altro grave episodio accaduto a Ponticelli due mesi dopo l’omicidio di Davide Montefusco: il 26 marzo la madre di Raffaele Cirella, estranea a ogni contesto malavitoso, scampò miracolosamente all’incendio appiccato alla sua abitazione dai vendicatori. Affiliati alla camorra non ancora individuati con certezza, ma con buone probabilità di finire presto nel mirino secondo alcuni esperti investigatori; sia gli esecutori che i mandanti. Anche se naturalmente sulle indagini viene mantenuto il più stretto riserbo.
Del Sayonara aveva parlato, prima di ritrattare, anche Davide Montefusco. “Gli obiettivi della strage furono i componenti del clan Andrea “o cappotto”, all’epoca contrapposto ai Sarno. Tra gli autori c’erano Peppe “’o mussillo” ed Enzuccio Sarno, nonché tale Totore Tarantino e altre persone. Non ricordo se tra gli autori vi fosse anche Luciano. Di ciò me ne ha parlato il gestore della pizzeria del corso. Presente al racconto vi era anche il fratello di Duraccio soprannominato “o piscione”, ucciso qualche tempo prima di quella strage. Il fratello di Duraccio spiegò che la strage era una risposta che i Sarno vollero dare ad Andrea “cappotto” e ai suoi uomini, ritenuto responsabile di quell’omicidio”.
Prima di lui anche il cognato Raffaele Cirella nell’interrogatorio del 17 febbraio 2010. “Quella sera, mentre chiacchieravo con gli amici, vidi transitare lungo la strada una 127 di colore bianco con alla guida Giuseppe Sarno “o’ mussillo” con affianco il fratello Ciro, che si immetteva in un vicolo che porta al rione De Gasperi. Trascorsero pochi minuti e mi allontanai, senza naturalmente prevedere ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Nei giorni successivi alla strage, nel discutere con i componenti del clan, ma anche con i comuni cittadini, venni a sapere che i responsabili di quell’eccidio erano i Sarno insieme ai componenti dei clan di Barra (intendo gli Aprea), e che del gruppo di fuoco faceva parte Umberto De Luca Bossa con i barresi. A distanza di circa 10 anni, segnatamente nel 1998, quando già i rapporti tra Vincenzo Sarno e Antonio De Luca Bossa si erano raffreddati, Sarno mi confidò era sua intenzione uccidere Gaetano Caprio. Mi disse che uccidendolo avremmo risolto due problemi: il nostro sospetto che Caprio facesse il doppio gioco e l’ulteriore rischio di una sua eventuale collaborazione. Vincenzo Sarno infatti temeva che Caprio potesse riferire particolari in merito alla strage al Sayonara. Mi spiegò infatti che Caprio, insieme a Roberto Schisa aveva avuto il compito di fare sparire le armi utilizzate per l’eccidio”.
La strage del bar Sayonara di Ponticelli fu ordinata secondo l’accusa dai vertici dei clan Sarno e Aprea per colpire e distruggere i nemici sotto le bandiere degli Andreotti. Il processo si è concluso nel mese di febbraio 2016 con la condanna definitiva di mandanti ed esecutori, tra i quali esponenti di vertice delle due storiche organizzazioni cri- minali. Ma perché tanto odio? Sui retroscena del tremendo agguato, tra i più gravi nella pur sanguinosissima storia della camorra partenopea, è stato molto chiaro Pasquale Sarno etto “Giogiò”, uno dei fratelli boss passati dalla parte dello Stato.
“Con Andrea Andreotti “o’ Cappotto” mio fratello Ciro aveva stretto un’alleanza finalizzata al controllo dell’area di Ponticelli, sottraendola al gruppo Norcaro-Ne-olato di Barra, che era il clan che controllava anche Ponticelli. Dopo circa un paio di anni dall’alleanza con Andreotti, i rapporti cominciarono a raffreddarsi, fino rompersi del tutto a seguito dell’omicidio di Vincenzo Duraccio. Avevamo saputo che Andreotti si era nuovamente avvicinato ai Norcaro, stringendo con loro un accordo a nostra insaputa. A ciò si aggiunsero i nostri sospetti sullo stesso Andreotti sul fatto che trattenesse per sé una quota maggiore dei profitti raccolti su Ponticelli, che invece doveva dividere con noi al 50 per cento. Mio fratello Ciro, al fine di affrontare quella contrapposizione, strinse un accordo militare con il gruppo di Barra composto dalle famiglie Aprea, Cuccaro e Alberto, con cui aveva stretto rapporti nel periodo della sua detenzione”.
Ma lo stesso ex boss Ciro Sarno aveva fornito la sua versione dei fatti: “Non volevo che venissero coinvolte persone innocenti. È una strage che ancora mi pesa. È uno degli episodi più eclatanti e che ancora mi pesa, anche in ragione del fatto che, sebbene sia stato il mandante dell’azione, di certo non volevo gli esiti che poi si sono avuti». L’obiettivo principale dell’agguato, infatti, era Antonio Borelli: un fedelissimo di Andrea Andreotti che, mentre “’o sindaco” era detenuto, aveva risposto male al fratello Giuseppe “’o mussillo”: «Devi dire a Ciro di fare il carcerato, ragioniamo dopo». Ciro Sarno ha ricordato la preparazione dell’agguato e c’erano già le avvisaglie, ha messo a verbale il 28 agosto 2009, che poteva accadere qualcosa di brutto”.
(Una delle rarissime foto a colori della strage del bar Sayonara a Ponticelli. Accanto al corpo senza vita di Gaetano De Cicco, un fucile a canne mozze e nei riquadri da sinistra il boss pentito Ciro Sarno, Davide Montefusco e Raffaele Cirella)
