Un cartello appeso al collo con su scritto “Sono un bambino sporco”. C’era anche questa fra le vessazioni cui era stato sottoposto il piccolo Ivan, adottato da una coppia residente nel Torinese. “Scampato all’inferno di un orfanotrofio in un Ucraina solo per trovare un inferno ancora peggiore in Italia”, ha detto il pubblico ministero Francesco Pelosi nel corso del processo terminato oggi in tribunale, a Torino, con la condanna a un anno e otto mesi di reclusione per i coniugi. Il ragazzo, nato a Donetsk, ex Ucraina, era arrivato in Piemonte quando aveva nove anni. “Avrebbero dovuto prendersi cura di lui – ha sottolineato il pm – e invece gli hanno fatto del male, come mai nessuno in vita sua”. Le dichiarazioni del bambino, rese qualche anno fa in fase istruttoria, sono pesantissime. Ci sono le angherie “quotidiane, abituali e continue”. Ci sono le mutande infilate in bocca per punirlo della pipi’ a letto e la doccia gelata, ci sono le umiliazioni e le percosse, ci sono vestiti troppo grandi e troppo sporchi, c’e’ l’orto da zappare sino a tarda sera. E poi c’e’ quel cartello con su scritto “Sono un bambino sporco”, che il ragazzino avrebbe dovuto portare al collo per punizione. “Non e’ andata in questo modo”, ribatte il difensore della coppia, l’avvocato Anna Ronfani, che insieme al collega Valerio D’Atri annuncia di voler impugnare la sentenza. “Un testimone ha raccontato di aver saputo dal ragazzino che i suoi genitori l’avevano rimproverato per la scarsa igiene personale. E gli avevano detto: e’ come se andassi in giro con un cartello al collo con su scritto sono sporco”. E ribadisce: “questa e’ una storia di fallimento adottivo, non di violenze in famiglia. Lo scenario e’ complesso e bisogna valutare con attenzione l’attendibilita’ delle parole del ragazzo”. Parole a cui, invece, il giudice Antonio De Marchi ha dato credito, condannando la coppia anche al versamento di una provvisionale di ventimila euro. “Per il ragazzo, la cosa piu’ importante e’ che il giudice gli abbia creduto”, spiega l’avvocato di parte civile, Emanuela Martini, che non ha mai dubitato del racconto del suo assistito. “Rimane l’amarezza per una vicenda triste – continua – per una situazione familiare difficile, per la solitudine di questo giovane che oggi, a seguito di un provvedimento del Tribunale per i minorenni di Torino, vive in una comunita'”.