Consip, la Procura di Roma ‘scarica’ il capitano del Noe che fece le indagini

Roma. ‘Punito’ l’investigatore che ha, per oltre un anno, ricostruito pizzino per pizzino i foglietti fatti sparire da Alfredo Romeo dal suo ufficio romano per evitare che gli investigatori scoprissero le sue trame. Le accuse al capitano del Noe, Giampaolo Scafarto, autore di numerose informative nell’inchiesta Consip sul mega appalto da 2,7 miliardi per il Facility management 4, di falso materiale e falso ideologico, fanno gridare ‘vittoria’ all’indagato eccellente Tiziano Renzi e al suo avvocato che invoca un’archiviazione per il suo assistito. L’inchiesta Consip, passerà probabilmente alla storia, come un grande intrigo italiano lo testimonia anche l’ultimo colpo di scena che vede come protagonista – su un fronte completamente opposto a quello di qualche mese fa – il capitano del Noe che ha coordinato l’inchiesta. Su migliaia di pagine di informative redatte dall’ufficiale, il pm Mario Palazzi e il procuratore capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone hanno puntato l’indice su due circostanze: l’attribuzione di una frase ‘chiave’ ad Alfredo Romeo, piuttosto che a Italo Bocchino, e la ‘non presenza’ dei servizi segreti – circostanza ipotizzata in una delle informative – sul luogo delle indagini. La Procura romana che avrebbe dovuto coordinare le indagini, di fatto smentisce se stessa, e fa marcia indietro sulla posizione di Tiziano Renzi, papà dell’ex premier, sono stati i magistrati romani ad iscrivere Renzi senior nel registro degli indagati e non sulla scorta di quell’unica frase attribuita a Romeo invece che a Bocchino. Scafarto ha scritto l’informativa, ma dovevano essere coloro che coordinano le indagini a stabilire se le deduzioni investigative erano o meno avvalorabili. La magistratura dovrebbe essere questa.
E invece, venerdì la decisione di ‘avvisare’ il capitano del Noe e il suo difensore per un interrogatorio fissato per ieri mattina, lunedì. Di errori giudiziari come quelli sollevati dalla Procura romana ne è piena la storia italiana: la trascrizione di un nome piuttosto che un altro nel corso di conversazioni ambientali, non è auspicabile mai, ma capita spesso. E solitamente sono solerti avvocati difensori a fare emergere queste discrepanze nelle aule di Tribunale. Questa volta, però, si è rotto qualcosa nel rapporto fiduciario tra investigatori e Procura. Il nome di Renzi ha pesato come un macigno e gli stessi magistrati che avevano ‘invocato’ la fuga di notizie – togliendo di fatto al Noe e al capitano Scafarto la competenza sulle indagini in corso – stroncano l’indagine Consip facendo un autogol.
“E’ molto strano quello sta avvenendo ma ho fiducia nella magistratura. La verità viene sempre a galla”, ha commentato Matteo Renzi che poi ha fatto sapere che il babbo, venuto a conoscenza di quanto sta accadendo si è messo a piangere. Per il pm della procura di Roma, Mario Palazzi, Scafarto – che, interrogato, si è avvalso della facoltà di non rispondere – “ometteva scientemente informazioni”. Scafarto è uno dei militari che ha recuperato nell’ufficio romano dell’imprenditore Romeo i “pizzini” con le cifre di presunte tangenti. Ma anche quei ‘pizzini’ alla luce della indagine sul capitano che ha condotto le indagini, assumono nell’opinione pubblica, ma evidentemente anche nei magistrati, una nuova veste. Eppure, in uno di quei pizzini, c’era quel nome che tanto ha fatto discutere. Certo Romeo che è un imprenditore scafato scrive e parla in codice. Ma ciò non toglie che quel pizzino esiste.
Scafarto ha sostenuto che nel corso delle indagini aveva notato la presenza di 007 dei servizi segreti, tanto che segnalò un’auto sospetta.
Ma la Procura sostiene che in realtà alla guida c’era un autista dell’Opera Pia stabilimenti spagnoli che abita a pochi metri dal parcheggio. Questo elemento, tenuto conto che i servizi fanno capo a Palazzo Chigi, avrebbe creato dei punti di contatto con la posizione del padre dell’ex premier. Il difensore di Tiziano Renzi, Federico Bagattini dice: “Se ne va anche questo apparente indizio, ora aspettiamo fiduciosi l’archiviazione del procedimento. Certo è che chiedere scusa forse non bastera”. Ma se gli elementi erano così fragili perchè i pm hanno iscritto Renzi senior nel registro degli indagati per traffico di influenze? E poi, nel corso delle indagini non erano state acquisite anche le dichiarazioni dell’ex direttore Consip, Luigi Marroni? Anche queste non hanno più valore?
La frase attribuita a Romeo, ricorda l’avvocato Bagattini, era “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato'” e “molto grave – chiosa il difensore – risulta adesso il commento che ci fece il Noe scrivendo che “questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano. Oggi tutto questo se ne va”.
 “Da cittadino invece – aggiunge Bagattini – accolgo questa novità in modo inquietante” anche perchè tra le accuse all’ufficiale del Noe “si aggiunge anche l’altra circostanza, anch’essa smentita, della presenza dei servizi segreti” quando il Noe faceva indagini. “Tutto ciò è inquietante – conclude il legale – perchè sono falsità che si stavano dicendo mentre Matteo Renzi era presidente del consiglio”.
Ora, che il capitano abbia deliberatamente inserito dolosamente circostanze non vere nelle informative a sua firma, sembra paradossale. Eppure la Procura, ormai, ha scaricato l’uomo del quale si è fidato ciecamente – e probabilmente senza neppure controllare più di tanto cosa c’era scritto nelle informative – indagandolo, rapidamente, per falso materiale e falso ideologico.
Il difensore del capitano Scafarto, Giovanni Annunziata, ha commentato – nel pomeriggio – la scelta di non rispondere alle domande dei pm da parte del suo assistito: “La scelta di non rispondere alle domande dei pm rientra in una mia strategia difensiva. Ho l’esigenza di conoscere gli atti dell’indagine nella loro completezza. Appena il quadro sarà chiaro, chiederò alla Procura di convocare il mio assistito per essere interrogato”. Lo afferma l’avvocato Giovanni Annunziata, difensore Giampaolo Scafarto, il capitano del Noe accusato di falso nell’inchiesta Consip. “Ho ricevuto venerdì la convocazione dei pm con i capi di imputazione – spiega il penalista – che fanno riferimento all’intera attività di indagine svolta su Consip. E’ necessario, quindi, leggere prima tutti gli atti dell’indagine per affrontare un interrogatorio. Appena sarò pronto contatterò il procuratore capo, Giuseppe Pignatone e il sostituto Mario Palazzi, per chiedere una convocazione e affrontare le contestazioni che ci vengono mosse”.
Nell’inchiesta romana sui presunti appalti truccati della centrale acquisti della pubblica amministrazione, rispondono di traffico di influenze Tiziano Renzi, il suo amico imprenditore Carlo Russo, e Italo Bocchino. Al centro dell’indagine, che ha portato all’arresto di Romeo, c’è una gara di ‘facility management’, ovvero servizi per la Pa, del valore di 2,7 miliardi (FM4) bandita nel 2014 e suddivisa in 18 lotti, alcuni dei quali puntava ad aggiudicarsi Romeo. L’imprenditore prese parte alla gara per il lotto da 143 milioni di euro per l’affidamento di servizi in una serie di palazzi istituzionali a Roma, che andavano dalla pulizia alla manutenzione degli uffici. Per raggiungere il risultato, Romeo, secondo i pm, corrompeva Luigi Gasparri (con 100mila euro in tre anni) affinché gli desse una serie di informazioni indispensabili per avere la meglio sugli altri partecipanti. Entrambi rispondono dall’accusa di corruzione. Un sistema quello di Romeo nel quale, secondo la ricostruzione di Gasparri ai pm, l’imprenditore riteneva indispensabile pagare, poiché, a suo dire, tutti lo facevano. Nell’indagine risultano indagati, per rivelazione di segreto d’ufficio il ministro dello Sport, Luca Lotti (all’epoca dei fatti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri), il comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette e il generale di brigata dell’Arma Emanuele Saltalamacchia.


Rosaria Federico

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