La Cassazione, Sezioni Unite e Civili, con la sentenza del 25/01/2017 n. 1946 ha dichiarato incostituzionale l’art. 28, comma 7 della legge n. 184/1983 che regola l’istituto dell’adozione perché nega la possibilità all’adottato di avere accesso ai dati sulle proprie origini; seppure il medesimo articolo al comma 5, riconosca al minore tale diritto subordinandolo alla condizione di aver raggiunto i 25 anni di età e in casi specifici anche prima.
La significativa novità di questa sentenza, in mancanza di una legge specifica che disciplini la materia, concerne l’impossibilità da parte del giudice del Tribunale per i minori, di respingere a priori la richiesta di interpello, che potrà essere presentata direttamente dall’adottato in carta semplice presso il tribunale di residenza e senza l’ausilio di un avvocato.
Le associazioni degli adottati, dei genitori naturali e del Comitato nazionale per il diritto della conoscenza delle origini biologiche, finalmente vedono equiparati per la prima volta il diritto all’accesso alle proprie radici familiari e il diritto all’anonimato della donna che “non intende essere nominata” nel certificato che attesta la nascita di un individuo.
Le tappe che hanno accompagnato la normativa sull’adozione, che è solo all’inizio del suo iter, sono state lunghe e articolate proprio perché troppo netta la contrapposizione tra il diritto della madre biologica e quello del figlio.
Il noto sociologo e psicologo Paolo Crepet, interpellato più volte in questi ultimi anni, sugli effetti psicologici vissuti da bambini nati con le nuove tecniche che la scienza mette a disposizione per chiunque desideri diventare mamma o papà, e quelli più banalmente dati in adozione, ha energicamente rimarcato l’importanza di salvaguardare il diritto del minore prima e dell’adulto poi, a conoscere la madre e il padre biologici, sostenendo che i nove mesi gestazionali “non sono solo una questione di crescita biologica, ma c’è un problema psicologico”.
Nel nostro Paese l’area riformista, che ha mostrato maggiore sensibilità nel considerare le richieste degli adottati di accedere alle notizie riguardanti la propria storia personale, ha spesso ricevuto scarsa attenzione. Questo trend, tra nuove proposte e periodi di stasi, è perdurato per molti anni, fino a quando con la sentenza del 22 settembre 2012 della Corte Costituzionale lo Stato Italiano è stato condannato, nello specifico del caso Godelli, per la violazione del diritto alla vita privata e familiare riconosciuta dall’art. 8 della CEDU, ossia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questo passaggio ha mostrato la mancanza di equilibrio e proporzionalità tra gli interessi delle parti coinvolte in un procedimento di richiesta di accesso ai dati inerenti la propria nascita, riscontrando un abuso del margine di discrezionalità da parte degli organi preposti ad operare in tale ambito.
De iure condendo, la soluzione suggerita dalla Corte Europea al fine di uniformare il sistema italiano a quello francese, più attento nella cura delle richieste degli adottati, prevede la creazione di un’autorità amministrativa indipendente come il CNAOP, Conseil Nazional pour l’accès aux Origines Personelles, per assolvere al compito di dare risposta agli adottati che ne facciano richiesta.
I cambiamenti sociali nel modo di concepire il diritto alla vita, agli affetti, alle relazioni tra gli individui non legati da una consanguineità, hanno spinto il legislatore a riconsiderare le priorità nei diritti tra le parti. Si ha l’impressione che paradossalmente il riconoscimento di forme di aggregazione familiare nuove, in concomitanza con l’introduzione di tecniche per la fecondità impensabili per i nostri bisnonni, che hanno rimodellato l’idea di maternità e paternità, stiano aprendo la strada al riconoscimento del diritto alle proprie radici. Non è stata sufficiente la lista di generazioni di figli adottivi in fila da psicologi e psicoterapeuti, nel tentativo di dare un senso al sordo dolore provocato dall’abbandono, e la richiesta implorante di costoro per il riconoscimento di un diritto: quello di poter ricostruire la storia della propria vita.
Probabilmente il fantasma dell’origine non crea business … ma questa è un’altra storia.
Claudia Squitieri (sociologa)