La camorra al comune di Casavatore: chiesto il rinvio a giudizio per 15 ex amministratori. TUTTI I NOMI

E’ stata firmata la richiesta di rinvio a giudizio per 15 tra ex amministratori, candidati, soggetti legati ai clan, dipendenti e dirigenti del comune di Casavatore. Compariranno il 13 luglio prossimo davanti al Gup Tarallo per l’udienza preliminare La Procura di Napoli, su richiesta del pool della Direzione Distrettuale Antimafia ha emesso chiesto il rinvio a giudizio per voto di scambio aggravato dal metodo mafioso. Agli atti dell’accusa anche le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

Tra quelli che si avviano verso il processo, secondo la richiesta del pm, come riporta Il Roma, ci sono sia l’ex sindaco, Lorenza Orefice, eletta con la lista “Un’altra Casavatore”, accusata di concorso in “minaccia o violenza ad elettori” aggravata dal metodo mafioso; sia il suo sfidante, Salvatore Silvestri, a capo di un’ampia coalizione guidata dal Pd, che deve rispondere di voto di scambio e di essersi avvalso ai fini della propaganda elettorale del contributo di Massimo Minichini, all’epoca sorvegliato speciale. Sotto inchiesta per omessa denuncia, senza l’aggravante mafiosa, c’è anche il comandante della polizia municipale Antonio Piricelli, che non avrebbe segnalato all’autorità giudiziaria le minacce che una elettrice aveva detto di aver ricevuto da sostenitori di Silvestri e le notizie sul mercato delle preferenze in corso alla vigilia delle elezioni. Per procacciare voti a favore della lista di Silvestri, il comandante Piricielli e il maresciallo della polizia municipale Orefice avrebbero “evidenziato ai cittadini” che normali opere di tutela del territorio,
come disinfestazioni e derattizzazioni, “erano state realizzate per il diretto interessamento e su insistenza” del candidato sindaco del Pd e di altri due candidati.

Tutto ha inizio il 24 aprile 2015 quando in un bar di Casavatore vengono uccisi il boss Ciro Cortese e Aldo Pezone, ritenuti legati al gruppo camorristico dei Vanella-Grassi. Cortese aveva in tasca un bigliettino con il nome di un candidato, Mauro Ramaglia, e con l’annotazione accanto di una cifra, 2000. Dalle intercettazioni telefoniche sull’utenza di Ramaglia e di alcuni suoi familiari è venuta alla luce una presunta attività di “compravendita” di voti. Voti acquistati, secondo l’accusa, con buoni pasto, o con 50 euro a testa o ancora con posti di lavoro. Le telefonate ascoltate dagli inquirenti documenterebbero anche le lamentele di alcuni elettori: «Mauro, mi ha mandato un paio di pacchi di pasta in meno», «Non ti preoccupare, il vino, ti devo regalare il vino? Già è regalato va bene? Te lo do o stasera o domani va bene?». C’è anche chi protesta per non aver ricevuto i cinquanta euro pattuiti: come una tale Nancy, la quale si lamenta per non essere stata pagata e sostiene che, come sottolineano gli inquirenti «se non le verrà corrisposta la somma frutto della promessa fatta in campagna elettorale, denuncerà tutti quanti, e soprattutto Ramaglia per quel ‘fatto suo». Una indagine che si estenderà a macchia d’olio con il coinvolgimento di altri candidati, nonché dei vertici della polizia municipale e con una serie di episodiindicativi del clima di intimidazione camorristica, come il pestaggio del fratello di un candidato, anch’egli ritenuto legato al clan, che stazionava nei pressi del comitato elettorale di Silvestri.
Un sorvegliato speciale che staziona davanti alla sede del comitato elettorale del candidato sindaco del Pd. Soldi e buoni pasto offerti in cambio del voto. Soggetti controindicati che fanno campagna elettorale, facendo pressioni sugli elettori, per la candidata delle liste civiche. Il comandante della polizia municipale che avrebbe chiuso un occhio sulle minacce. E le due anime dello stesso clan, divise nel sostegno a schieramenti diversi, che regolano i conti con un pestaggio proprio alla vigilia del secondo turno. Riuscendo così, accusa la Procura, a ribaltare l’esito delle elezioni. Sembra quasi di raccontare un episodio della fiction televisiva “Gomorra”, invece è la campagna elettorale svolta a maggio del 2015 nel comune di Casavatore così come ricostruita dai pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra, coordinati dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice. I magistrati hanno chiuso l’inchiesta con quindici ri- chieste di rinvio a giudizio.

Ma l’ombra più allarmante è quella della criminalità organizzata. Lo sponsor di Silvestri sarebbe stato Minichini, che secondo gli inquirenti “stazionava stabilmente innanzi la sede del comitato elettorale della lista Pd Silvestri sinda-o”. Almeno fino al 13 giugno, quando fu picchiato da esponenti del suo stesso clan, il gruppo Ferone, che invece, a giudizio degli inquirenti, avrebbero sostenuto il candidato Lorenza Orefice con una campagna massiccia in alcuni quartieri della città. Il pestaggio, è la ricostruzione della Procura, doveva essere una “dimostrazione di forza della cordata” guidata dalla Orefice. Che al ballottaggio vide capovolgere l’esito del primo turno e fu eletta. Tra quelli per la quale è stato ri- chiesto il rinvio a giudizio, oltre all’ex sindaco e al suo diretto avversario, anche altre figure di primo piano del Palazzo di piazza Gaspare Di Nocera. Tra cui gli ex consiglieri comunali Ciro Minichini e Salvatore Pollice (entrambi sostenitori di Silvestri) e Giuseppe Pranzile, (maggioranza). Coinvolti, inoltre, gli aspiranti consiglieri che avevano svolto la campagna elettorale per il candidato sindaco Salvatore Silvestri ma che sono risultati non eletti, Ciro Rossi, Barbara Cozzolino, Mauro Ramaglia e Paolo Spinuso che aveva sostenuto, ma solo al ballottaggio, Lorenza Orefice. Tra i destinatari del provvedimento anche Massimo Minichini, fratello di Ciro; Nadia Sarnataro, moglie di Ramaglia; Giuseppe Pellegrino, operaio per con- to di una società privata; Salvatore Ferone, nipote del capoclan locale.


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