L’Arkansas non esegue pene capitali dal 2005, ma la scadenza della validità del midazolam, una delle tre sostanze usate, aveva spinto Hutchinson ad dare una spinta alle esecuzioni, programmando di mettere a morte otto persone in 10 giorni e scatenando la battaglia delle associazioni anti pena capitale. La prima sospensione era arrivata già il 6 aprile, rimandando l’esecuzione di un condannato di almeno un mese. Oggi gli altri rinvii: un giudice federale ha bloccato sei esecuzioni mentre la settima era stata fermata qualche ora prima dalla Corte Suprema per l’infermità mentale del condannato.
Per mettere a morte i condannati l’Arkansas usa tre medicinali diversi: lo sdegno nato intorno alla vicenda aveva spinto i produttori dei tre farmaci a fare ricorso contro lo Stato, perché non avrebbe dichiarato l’uso che intendeva fare delle sostanze al momento dell’acquisto.
Gli otto uomini condannati hanno fra i 38 e i 60 anni e sono stati giudicati colpevoli di crimini compiuti negli anni ’90: stupri e omicidi, principalmente, con una grande maggioranza di donne come vittime. Se la loro esecuzione venisse confermata stabilirà un record di orrore: dal 1976, quando la Corte Suprema ha autorizzato il ritorno della pena di morte, nessuno Stato americano ha giustiziato tanti detenuti in un arco di tempo così limitato.
Una prospettiva che ha fatto scattare l’indignazione di chi si batte contro la pena di morte come Amnesty international e Human rights watch. Lo scrittore John Grisham, che nello Stato è nato, ha scritto un articolo durissimo su Usa Today: “Siamo di fronte a uno spettacolare deragliamento della legge”. La polemica è arrivata
anche su Twitter: l’hashtag #8in10 (otto prigionieri in 10 giorni) è diventato virale. Ma la battaglia per ora resta più virtuale che reale: secondo gli ultimi studi in Arkansas il numero di persone favorevoli alla pena di morte è di molto superiore a quello dei contrari.