Scafati, anche il perito del pm conferma: “Lello Granata poteva essere salvato”

Colpo di scena nell’inchiesta per la morte di Lello Granata, il 37enne di Scafati morto il 12 marzo 2016 al Pronto soccorso di Nocera Inferiore. Secondo la perizia del professore Car­lo Buccelli, medico legale e do­cente della “Federico II”di Na­poli “ci fu responsabilità dei medi­ci”. Lo ha scritto il perito nominato dal pm Daria Mafalda Cioncada della Procura di Nocera, tito­lare dell’inchiesta, la dottores­sa Daria Mafalda Cioncada, e che quindi conferma i dubbi sollevati dalla fa­miglia Granata dal loro difensore, avvocato Vittorio D’Alessandro, e dal peri­to incaricato dai parenti della vittima, Antonio Sorrentino.

Il professionista già nel maggio scorso aveva messo nero su bianco puntando l’indice contro i due medici indagati in servizio al pronto soccorso dell’ospedale di Nocera: Andrea Inserra e Massimo Vicidomini di Nocera Inferiore. Il primo tra l’altro, scafatese, per ironia della sorte è un ex consigliere comunale cosi come Andrea Granata, presidente di Scafati Solidale. I due erano grandi amici. Secondo la perizia del dottore Sorrentino ora confermata anche da quella del perito nominato dal pm il ragazzo poteva essere salvato se i due medici  avessero rispettato le procedure. Raffaele Granata si sarebbe salvato se avesse effettuato una emodialisi “, aveva scritto Sorrentino. Dagli esami tossicologici, era emerso che Granata non aveva assunto stupefacenti e l’alcool nel sangue era in percentuali bassissime. Il giovane era stato circa quattro ore nel Pronto soccorso e i primi esami che avrebbero dovuto allarmare i medici erano a disposizione circa due ore prima che si verificasse la morte. Inserra e Vicidomini sono indagati per omicidio colposo perché secondo il pm “omettevano di diagnosticare un’insufficienza renale acuta da abuso di antinfiammatori con conseguente imponente ritenzione idrica in paziente con cirrosi epatica scompensata, nonché omettevano di praticare un trattamento emodilialitico extracorporeo finalizzato a ridurre sensibilmente la ritenzione idrica e a superare l’acuta indotta criticità cardiovascolare sfociata, poi in edema polmonare acuto con conseguente arresto cardiaco; cagionando così la morte di Raffaele Granata che, proprio in conseguenza dell’inerzia assistenziale decedeva”. Ora sarà il processo a stabilire la verità.

 


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